Raccontarsi con i libri: per una biografia cognitiva, ma non solo
Di Rosanna Nossa
Da bambina (tra i sei e i dieci anni) la mia nonna paterna mi leggeva fiabe e romanzi vicino alla stufa. C’era anche mia sorella, di quattro anni più grande e, qualche volta, mio cugino, di due più piccolo. Dalle fiabe classiche alla Cappuccetto Rosso fino ai romanzi di avventura come L’isola del tesoro di Stevenson, Capitani coraggiosi di Kipling, Le avventure di Robinson Crusoe di Defoe e quelle di Robin Hood di Pyle…
Ricordo che questi libri non venivano acquistati, ma generosamente donati a mia madre da una sua amica (sia benedetta!) che lavorava presso la casa editrice.
Ora, pensare che queste letture abbiano rappresentato solo uno svago, un modo per riempire fredde giornate d’inverno in attesa di infilarci sotto le coperte, e che siano passate indenni sopra il nostro orecchio distratto non solo è profondamente ingiusto ma, soprattutto, non rende giustizia alla bellezza di quelle letture né alla capacità di noi bambine di ascoltarle, lasciarci incantare e farle nostre. In verità non rende giustizia neanche alla nonna che, alcune di esse, probabilmente le leggeva per la prima volta…
Come possiamo pensare che non ci sia più alcun legame tra noi oggi e quelle letture prima ascoltate, e poi lette, con avidità, da ragazzine? Come possiamo pensare che siano state soppiantate dalle successive letture ‘colte’ che abbiamo fatto in seguito mentre crescevamo e studiavamo nei contesti istituzionalizzati della nostra formazione?
Non è il caso di aprire qui una parentesi sul profondo legame che le fiabe intrattengono con il Mito, su come ci connettano con il mondo attraverso il loro ricorrere nelle diverse culture e il loro attraversarle nel tempo… E che dire dei romanzi d’avventura e del loro legame stretto con gli antichi riti di iniziazione?
Io coltivo la consapevolezza che quelle prime letture abbiano lasciato un segno profondo in me. Così come l’ha lasciato la cosiddetta letteratura minore di cui mi sono nutrita, come i fumetti (da Topolino a Tex Willer a Mafalda) o i fotoromanzi letti di nascosto sotto il banco alla scuola media (sicuramente responsabili, questi ultimi, del mio romanticismo cronico e dell’aspettativa del lieto fine che mi accompagna anche nelle vicende più tragiche della vita).
In letteratura la ‘biografia cognitiva’ trova impiego come efficace strumento di conoscenza di sé nei contesti educativi e formativi, in particolare quando si parla di orientamento, di apprendimento situato e di valutazione delle competenze.
In questo contesto la narrazione autobiografica diventa il metodo per ricostruire consapevolmente il proprio percorso formativo e i suoi risultati da parte dello studente stesso.
Avendo sperimentato in prima persona questo strumento con efficacia in ambito formativo, mi sono chiesta: perché non estenderne il significato e utilizzarlo per una lettura del proprio percorso di vita, che non si limiti alla sfera cognitiva ma si apra alla dimensione relazionale ed emotiva?
Ovvero: di cosa è composta una vita, oltre che di cognizione, se non di relazioni ed emozioni? E quali mondi interni ci sollecita la lettura di un libro, come partecipa alla nostra formazione globale, come accompagna il nostro crescere?
Non sono, ahimè, una lettrice accanita (forse a causa della mia grande pigrizia) e vorrei aver letto molto di più, ma quel che ho letto mi è entrato dentro, e saprei elencare uno a uno tutti i libri che sono stati importanti per me, che mi hanno lasciato un segno, che mi hanno cambiata, addirittura sostenuta in alcuni periodi difficili e delicati della vita. Senza quelle letture, e senza averle ripercorse, non sarei quella che sono oggi.
Propongo questo esercizio anche a voi. Da quale libro vogliamo cominciare?