Moda e relazioni tra generi: uomini con le gonne
Di Caterina Frusteri Chiacchiera
Che persona sarei stata, adesso, se avessi fatto scelte diverse? Se non mi fossi lasciata vincolare da certi condizionamenti?
Avrei preso altre strade? E quali?
Non mi posso proprio lamentare della mia vita; ma se mi guardo indietro, ho dei rimpianti. Primo tra tutti, il più segreto, il più inconfessabile, è non aver studiato moda. Moda sì.
E chi me l’ha impedito?
Ho quasi timore a dichiararlo: adesso, dopo tanti anni di lavoro su di me, posso affermare che a inibire i miei entusiasmi per gli outfit e i look ricercati sia stata la distorsione immatura di alcuni ideali femministi e politici che, nella mente della me stessa adolescente, sono stati mostruosamente trasformati in ideologie limitanti.
E in più, sono capricorno. Praticamente, un’esistenza votata esclusivamente al senso del dovere, nell’intima convinzione che nella vita bisogna solo lottare duramente.
Ricordo che sfogliavo di nascosto le riviste patinate che mia madre lasciava in bagno, attratta da quel mondo sofisticato e sberluccicante, censurando anche al mio vero Io l’ascendente che tutto ciò esercitava su di me.
Certo che dovevo censurarmi: come potevo ammettere di essere incantata da una dimensione frivola che proclamava ideali estetici irraggiungibili, rinnovando nel genere femminile il perpetuo senso di inadeguatezza? Che imprigionava in canoni di bellezza mortificanti? Che esponeva il corpo della donna, utilizzandolo con mera funzione di manichino?
In più, solo gli antirivoluzionari potevano permettersi di dedicarsi a temi così tanto futili, mentre il mondo andava a scatafascio, vessato da ingiustizie sociali, crisi climatiche e guerre economiche.
Insomma, per una giovane idealista che agognava il sovvertimento totale dello status quo, c’erano altre urgenze.
Così, vivevo come una colpa gli sguardi che rubavo su quelle pagine mentre, nella vita reale, la mia vena creativa faceva capolino cercando di combinare ad arte gli abbinamenti dei miei abiti, acquistati rigorosamente alle bancarelle dell’usato (solo ora posso affermare che la mia consuetudine a comprare vestiti di seconda mano non fosse affatto una scelta anticapitalista, ma puro e irrefrenabile amore per il Vintage; ah, com’è facile da ingannare il Subconscio!).
Poi il tempo, non so come, è passato; la Rivoluzione, ahimè, non c’è stata, e io mi sono ritrovata vittima del precariato e con una laurea umanistica.
Crescendo, la (poca) maturità mi ha regalato un femminismo più gioioso (nonostante sia una faccenda molto, molto seria), fonte di libertà e sperimentazione.
Oggi posso permettermi di gustarmi tutte le riviste di moda che mi pare, alla luce del sole, senza vergognarmi (neanche della mia vanità); posso permettermi di fare shopping, di guardarmi allo specchio e sentirmi bella nel mio corpo e nei miei abiti. Posso persino giocare con gli accessori colorati e vistosi, con il trucco e con le acconciature.
Mi concedo pure di guardare Sex and the City e di identificarmi con Carrie Bradshaw, e non penso più, per questo, di tradire i miei ideali di emancipazione femminile.
Riesco pure ad ammirare Chiara Ferragni e tutto ciò che ha creato.
Inoltre, sono pronta rispondere a tono a chiunque si permetta di darmi lezioni di femminismo, cosa che purtroppo accade ancora (anche di recente; anche in situazioni che dovrebbero essere protette e che dovrebbero essere guidate non dico dal senso di sorellanza, ma per lo meno, da solidarietà e sostegno tra donne. Che peccato che ancora perdiamo tempo ed energie a farci guerra tra noi, cadendo nella trappola, tutta patriarcale, del giudizio e della condanna del femminile).
Di recente mi sono accordata il lusso di vedere una fiction italiana ambientata a Milano e dedicata alla nascita del prêt-à-porter: Made in Italy.
La serie ha subito diverse critiche, ma a me, da profana, è piaciuta. Mi ha trasportato in quella dimensione glamour, sofisticata e ispirata che, secondo il mio immaginario, ha dato origine all’alta moda in Italia.
In uno degli episodi si descrive come i grandi stilisti abbiano saputo interpretare i tempi e le trasformazioni sociali, soprattutto per quanto riguarda il ruolo della donna.
Non mi illudo: ho informazioni di prima mano di amiche che lavorano in questo settore che raccontano di un ambiente estremamente maschilista.
Però ho trovato interessante notare che, a un certo punto, tra gli anni ’70 e gli anni ’80, gli abiti femminili hanno iniziato a proporre linee più sobrie e tagli più comodi, per adeguarsi a una donna che finalmente usciva di casa.
La nuova donna cominciava ad essere non più solo un oggetto da ostentare; andava a lavorare e risultava perciò necessario che si sentisse a suo agio in un contesto prettamente maschile.
Così, si iniziarono ad allungare le gonne e a coprire i decoltè, svelando un altro tipo di fascino: quello dell’indipendenza.
Purtroppo non ho le competenze per verificare se ciò che viene narrato nella fiction sia accaduto realmente o meno, ma l’ho trovato comunque uno spunto di riflessione interessante, anche perché, di recente, il tema della moda e degli abiti è ritornato nella mia vita, presentato, stavolta, da mio marito.
Da quando lo conosco, infatti, lui afferma di voler indossare le gonne.
È sempre stata una cosa detta così e poi dimenticata, fino a qualche settimana prima del suo ultimo compleanno, quando ha espresso chiaramente il desiderio di ricevere come regalo proprio una gonna.
Esatto: una gonna.
La cosa mi ha divertito all’inizio; poi però i dubbi hanno iniziato ad assalirmi: che genere di gonna? E certo non per uscire, vero!?!
Ma mio marito è stato irremovibile: una gonna al ginocchio e sì, l’avrebbe messa dove e quando gli pareva, anche per andare al lavoro.
Per giorni l’ho visto intento a scegliere su internet il modello più vicino ai suoi gusti.
Salvo ordinarie discussioni di cui è costellata la vita matrimoniale, in generale, mi sono sentita appoggiata da mio marito, che ha sempre sostenuto ogni mia scelta.
Abbiamo condiviso percorsi di crescita e consapevolezza. Lui ha abbracciato e fatto suoi certi temi, e si è mostrato disponibile a mettersi in discussione, in particolare rispetto agli “argomenti caldi” dei rapporti tra generi (tipo: il carico mentale sulla gestione della casa; ma questa è un’altra storia e un altro articolo).
Non potevo proprio rifiutarmi, di essere io, ‘sta volta, dalla sua parte contro quello che, d’altronde, è uno stereotipo culturale di genere.
Da una veloce ricerchina fatta su Internet, infatti, ho letto che in altre società, nemmeno troppo lontane, le gonne ordinariamente sono dei capi d’abbigliamento anche maschili (tutti pensiamo subito al Kilt scozzese, ad esempio).
Inoltre, uomini con le gonne sono stati il trend delle sfilate delle passerelle più importanti degli ultimi anni.
Perché gli uomini, se lo volessero, non potrebbero indossare le gonne? Forse perché “portare i pantaloni” veicola un messaggio di virilità? Ma in un contesto di trasformazione delle relazioni tra generi, non dovrebbe essere riesaminata anche la così detta “virilità”?
Questo mi ripeteva mio marito. E come dargli torto?
È stato bellissimo vederlo con gli occhi luccicanti mentre scartava il suo regalo; e ancora più bello è stato essere al suo fianco la prima volta che l’ha sfoggiato, tutto orgoglioso, in un evento formale: pranzo della domenica a casa dei miei.
La dialettica tra generi comporterà anche questa evoluzione dei costumi?
Ce lo ricordiamo dai libri di scuola come nel passato la moda abbia sempre accompagnato le grandi trasformazioni e i momenti di emancipazione femminile: donne che rifiutano i bustini, che indossano i pantaloni, che bruciano i reggiseni ecc.
Ma il fashion business riuscirà a fotografare anche le istanze di ripensamento sul proprio ruolo e sulla propria immagine sentite da una parte del genere maschile, anche sulla scorta delle idee femministe?
La problematizzazione degli stereotipi legati alla “mascolinità” si accompagnerà alla libertà, per gli uomini, di vestirsi come gli pare? Chissà…
Intanto mi rendo conto che il mio interesse per questo ambito non era poi così antirivoluzionario; forse mi avrebbe regalato delle altre chiavi di lettura sulla realtà e sulle dinamiche sociali. Vediamo, magari troverò il modo di perseguire il mio sogno “proibito”. D’altronde, siamo in continua evoluzione, no?