Viandante
Di Elena Esposto
Viandante, nomade, zingaro, pellegrino… Quanti nomi per parlare di un unico soggetto: l’uomo in ricerca, colui che vuole andare sempre oltre, che non si accontenta, colui che vuole sempre superarsi, colui per il quale l’unica meta accettabile è l’assoluto.
Il sedentario non comprende questi uomini inquieti, che sembrano non avere pace. Forse li stima, forse li invidia o forse ne ha paura. Con la sua irrequietezza il viandante interpella, scuote, interroga. Qualcuno deciderà di seguire le sue tracce, molti altri lo guarderanno passare con indifferenza o con disprezzo.
Il viandante, il nomade, lo zingaro sono gente del deserto, quel deserto immenso che sta nel cuore di ogni uomo; essi sono coloro che hanno il coraggio di attraversarlo, di scendere nel profondo della propria anima, che hanno il coraggio di guardarsi dentro e affrontare sé stessi, i propri limiti, la propria forza.
Il viandante ama la gente ma sa apprezzare la solitudine, sua eterna compagna di viaggio. Il viandante ama gli altri uomini: sa che dietro ogni volto potrebbe nascondersi il prossimo compagno di viaggio. Il viandante ama la sua vita e la preserva, è prudente ma mai diffidente; sa che l’uomo può essere un lupo per l’altro uomo ma conosce anche l’immensa ricchezza che può nascondersi nell’altro.
Il viandante può vivere e condividere davvero solo con i suoi simili, coloro che camminano con lui, sia per un istante, sia per lungo tempo. Il viandante ama la compagnia ma sa anche bastare a sé stesso. Sa bene che per ogni compagno di viaggio arriverà il momento di andarsene; proverà malinconia, talvolta dolore, nel guardare allontanarsi coloro che più hanno colto l’essenza della sua anima, ma lo accetta con tranquillità, rasserenato dall’idea che il futuro è ignoto e i sentieri del mondo tanti, ma non infiniti. Il viandante non può mai legarsi al sedentario perché egli non comprende il suo bisogno di andarsene per non tornare mai più.
Il viandante ama la strada, ha le scarpe consunte e i piedi sanguinanti. Egli cerca sé stesso nei volti altrui e in ognuno trova un pezzo di sé. La sua anima è malleabile e si modella lungo il cammino per opera degli incontri e delle esperienze. Il viandante non sempre conosce la sua ricchezza interiore: a volte qualcuno gliela fa notare, oppure sono gli eventi della strada a farla emergere. Il viandante sa che gli altri sono il suo specchio, e anche che la conoscenza di sé è una strada senza fine. Per questo continua a camminare.
Il viandante cammina in avanti, mai si volge indietro. Sua meta è il mondo intero e la conoscenza di esso. Il viandante ama i ricordi, li custodisce come tesoro prezioso nel baule della memoria, gli piace cullarli nei momenti di difficoltà e sconforto ma non lascia mai che essi lo sopraffacciano e lo trascinino via. Il viandante pensa spesso al futuro, mentre si addormenta sotto le stelle di Paesi lontani, ma il domani non lo preoccupa poi tanto; adora gli imprevisti e il misurarsi con essi.
Al viandante piace sostare nelle città e nei villaggi, fermarsi a parlare con la gente ma non si ferma mai per restare. Al viandante piace ascoltare le storie dei popoli che incontra. Gli piace condividere tutto con loro. Al viandante piace anche raccontare quello che ha visto, sicuro com’è che, per molti, le sue storie siano l’unico mezzo per conoscere mondi lontani.
Il viandante non può mettere radici perché non esiste un pezzo di terra abbastanza grande e ricco da poterlo nutrire; il dinamismo e la varietà sono il suo pane quotidiano, il motore della sua vita. Stretto tra le mura di una casa o tra i confini di uno Stato il viandante muore. Patria del viandante è il mondo intero, la sua lingua sono tutte le lingue. Il viandante non ha tribù, razza o nazione. Il mondo è la sua casa, suo tetto è il cielo, suo giaciglio le strade polverose, suoi fratelli tutti gli uomini. Il viandante appartiene a Dio, a sé stesso e alla strada.
Il viandante non ha nulla di suo, prende e dà lungo il cammino. Egli odia gli schemi, i progetti, le regole. Unica legge che conosce è quella della strada, quella dell’amore dovuto a tutti, senza distinzioni. Il viandante non comprende tutto quello che vede e per questo non giudica. Osserva, registra, riflette, ascolta. Il viandante ha una sua opinione su quello che vede ma la tiene per sé, non offende, non critica.
Un giorno, poi, arriva il vento che gli porta la voce di altri popoli, di altre strade, di altre storie. Egli, allora, se ne va.
La sua partenza non è mai una fuga, perché il viandante non ha nulla da cui fuggire. La sua partenza è la necessità di rispondere ad un richiamo. Vera missione del viandante è dare voce a chi voce non ha. Il viandante se ne va quando ha preso e dato abbastanza; se ne va perché sente che le storie fin lì sentite hanno bisogno di essere raccontate altrove, e che altre mille ancora devono essere ascoltate.
Questo scritto è stato scelto come vincitore dell’edizione “Concorsino 2018” del premio letterario Il carro delle muse.