La bolla femminista italiana si è fermata a Roma
Di Beatrice Scalella
La storia dei femminismi, in Italia, inizia soprattutto nel periodo della Resistenza, con la costituzione di associazioni e istituzioni politiche che hanno iniziato a focalizzare l’azione sulla lotta per la parità di genere in ambito sociale, economico e culturale. Se la direzione politica era comune e univoca, l’Italia è però sempre stata divisa in due: il Nord e il resto d’Italia. Se dal punto di vista legislativo e giuridico, i passi in avanti concernono tutta la popolazione, c’è una scissione importante per quello che riguarda la politica, la società e la cultura.
Nel secolo scorso, soprattutto dal secondo dopoguerra, la “Questione meridionale” – pur essendo stata molto più centrale nelle questioni politiche – non ha subìto quei miglioramenti che ci si aspettava e che si pretendevano. Con la crisi economica del decennio scorso, la situazione si è aggravata ulteriormente, e ha portato – secondo i dati ISTAT – 600.000 persone a trasferirsi al Nord, dove il PIL era sì diminuito, ma “solo” del 2% (contro il 12% del Meridione). Nell’ultimo ventennio, la crescita demografica italiana è stata, di media, del 6,4%, ma la percentuale di crescita del Sud Italia è stata dello 0,3% (il Trentino Alto Adige, per esempio, ha avuto il 15% di incremento). Se i dati post-crisi del 2011 mostrano comunque una storica diminuzione della popolazione italiana, anche dovuta all’emigrazione verso i Paesi esteri e al calo naturale demografico, è importante sottolineare la tendenza, spesso necessaria, delle popolazioni del Sud verso le regioni del Nord per motivi di lavoro e studio.
La questione meridionale deve essere riconosciuta dal femminismo attuale italiano, ed è importante che si riconosca un aspetto fondamentale: la cultura nordista di cui è impregnato il Nord.
La bolla femminista si dimentica spesso della situazione discriminatoria tra Nord e resto d’Italia e parla della situazione italiana come se fosse uniformata. Seguendo le proporzioni della popolazione, anche la maggior parte dellз attivistз sono localizzate nelle regioni settentrionali e si dividono principalmente tra Milano e Torino: riconoscere la differenza di disparità di genere in quanto donna del nord e donna del sud, donne emigrata al nord e donna nata e cresciuta al nord deve essere centrale in un movimento italiano che spesso si trova a usare i mezzi dell’oppressore. Le lotte vengono fatte nelle città, partendo da Milano fino ad arrivare a Roma, e il cambiamento viene pensato secondo le esigenze e le necessità del Nord: si parla spesso delle questioni delle persone BIPOC, LGBTQIA+, della necessità di abbattere il femminismo bianco, ma si parla ancora molto poco della xenofobia nordista verso le persone del Sud.
Riguardo le questioni più vicine, la bolla femminista italiana sembra dimenticarsi di una fetta di popolazione che viene già discriminata dalle politiche e dalla cultura del Bel Paese e sembra spesso guardare alle regioni meridionali con gli occhi pietisti e buonisti di chi sente la propria superiorità come una questione naturale e storica indiscussa verso cui non ha responsabilità. Ma se i femminismi contemporanei stanno attuando una forte presa di coscienza sui privilegi e le mancanze di una società normata e costruita sulla maggioranza, deve essere fondamentale parlare delle popolazioni del Sud e della situazione di chi è emigratə al Nord.
“Non c’importa del tuo tetto di cristallo se saranno le altre a dover ripulire i cocci” dice uno slogan femminista spagnolo. Per questo, l’inclusione nella lotta femminista contro il patriarcato del riconoscimento di come sessismo e xenofobia siano diverse a seconda delle regioni italiane in cui si vive o si è cresciutз dovrebbe essere centrale, senza mai dimenticare il privilegio dell’essere cittadinə europeə.