L’inizio della COP26. Ciò che c’è da sapere sulla Conferenza sul clima
Domenica 31 ottobre è iniziata a Glasgow la COP26, la conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici. Come le 25 edizioni precedenti, svoltesi annualmente, la conferenza riunisce 196 Paesi per mettere in atto delle iniziative condivise per salvaguardare il clima e il pianeta.
La sigla COP sta per Conferenza delle Parti, cioè gli Stati che hanno firmato l’UNFCCC, la Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici. Ogni edizione di questo incontro prende il via dai temi discussi in quello precedente. La numero 26, quindi, ha l’obiettivo di stabilire un metodo preciso per far sì che i Paesi firmatari dell’Accordo di Parigi riducano le emissioni di gas serra. Al momento l’Unione Europea mira a ridurre, entro il 2030, le proprie emissioni del 55% rispetto al 1990 e gli USA del 50-52% rispetto al 2005. Ciascun Paese firmatario, infatti, può scegliere liberamente gli standard da raggiungere.
Secondo l’ultimo rapporto dell’UNFCCC, però, nel 2030 le emissioni di gas serra saranno aumentate, globalmente, del 16%. Questo avrebbe delle enormi ripercussioni sul clima e sulla vita. L’obiettivo primario della COP26, quindi, è far sì che gli standard stabiliti dai singoli Paesi rispettino l’urgenza di non portare la temperatura media globale del 2030 a più di 1,5° rispetto al presente. Venir meno a questo scopo implica tentare tra nove anni di abbattere le emissioni in modo ancora più drastico e sicuramente più dispendioso.
Oltre a ciò ci sono altri argomenti di discussione. Si proporrà ai Paesi con economie più stabili di finanziare quelli con economie più fragili per far fronte ad alcune urgenze specifiche: la riduzione delle emissioni e i danni provocati dai disastri ambientali. Lo scopo è quindi stanziare dei fondi da utilizzare all’interno degli Stati in questione per attutire il loro impatto sul pianeta.
Un altro tema al centro del dibattito è l’abbandono del carbone come fonte di energia, in quanto più inquinante tra i combustibili fossili. Essendo il più economico, il suo utilizzo è difficile da sorpassare, soprattutto nei Paesi in cui viene prodotto in grande quantità e in cui è una facile fonte a cui attingere durante una crisi energetica. L’obiettivo ambizioso consiste nello stop agli scambi di quote di emissioni. Si tratta di quel fenomeno per cui i Paesi economicamente più stabili continuano a emettere gas serra finanziando iniziative per ridurne la produzione in Paesi con un’economia più fragile. Questa pratica è prevista dall’Accordo di Parigi, ma si è rivelata con il tempo inadatta a limitare l’impatto a livello globale.
Una delle prime risoluzioni a cui è giunta la COP26, però, riguarda la deforestazione. I cento Paesi che hanno trovato un accordo secondo cui fermeranno il disboscamento nei loro territori entro il 2030 sono quelli che ospitano l’85% delle foreste mondiali. Stiamo parlando, ad esempio, di USA, Cina, Brasile, Russia, Indonesia e anche dell’Italia. Accanto all’impegno contro la deforestazione, si annunciano dei progetti per rendere l’agricoltura più sostenibile e per far fronte al mantenimento delle popolazioni che basano la propria economia sulle foreste.
Si teme, però, che questo accordo resti solo sulla carta e non porti a traguardi concreti. Infatti l’impegno contro la deforestazione non è vincolante e non prevede sanzioni per chi non lo rispetta. Un gruppo ristretto di Stati ha aggiunto la volontà di mettere in atto delle iniziative più specifiche per contrastare il disboscamento dato dalla produzione di olio di palma, soia e cacao. Uno dei principali fattori alla base dell’abbattimento delle foreste, in realtà, è l’allevamento intensivo, che però non è stato al centro del dibattito.
Naturalmente contrastare il disboscamento è fondamentale per la salvaguardia del pianeta, in quanto questo fenomeno contribuisce fortemente al cambiamento climatico e riduce la biodiversità. Non citare, però, l’industria della carne e dei derivati animali significa considerare solo parte del problema e sottovalutare o ignorare la sua causa principale.
Un evento di importanza globale come la COP26 – che non ha saputo essere davvero accessibile a tutte le leader e i leader politici, come ha dimostrato il caso della ministra israeliana Karine Elharrar – avrà inoltre un notevole impatto sul pianeta. Le prime stime sostengono che la quantità di CO2 prodotta sarà pari a quella emessa da 1600 persone in un anno. Un inquinamento che non può passare inosservato e che richiede il raggiungimento di importanti obiettivi sulla crisi climatica in corso.