Compiuta Donzella, una vita in poesia
Di Claudia Castoldi
Tra le molte donne di cui la nostra storia letteraria sembra essersi dimenticata figura un nome che fu ed è ancora oggi oggetto di dispute: quello di Compiuta Donzella,. A lei spetterebbe un merito non da poco sarebbe stata infatti proprio lei la prima donna a poetare in volgare.
Di questa “donzella”, appellativo che nella Firenze duecentesca equivaleva al nostro “signorina”, sappiamo tuttavia davvero poco; forse neanche il nome.
Infatti “Compiuta” potrebbe intendersi sia come un nome vero e proprio, effettivamente in uso nella Toscana del XIII e XIV secolo, sia anche come un senhal, scelto ad indicare le virtù morali della poetessa.
Come evidenziato dal TLIO (Tesoro della lingua italiana delle origini) “compiuta” stava infatti a indicare “realizzata”, “completa”, “matura”. Quest’ultimoermine cozza un po’ con “donzella”, ma ce la fa subito immaginare come una ragazza che si è realizzata. E nell’Italia del 1200 non è cosa da poco.
Di lei rimangono solo tre componimenti nella forma di sonetto, inventato – secondo la tradizione – dal “notaro” Jacopo da Lentini.
Due di essi costituiscono, secondo la critica, una sorta di dittico poiché l’uno risulta la prosecuzione narrativa, e quasi la spiegazione, dell’altro.
Nel primo,Alla stagion che il mondo foglia e fiora,, Compiuta si racconta come una ragazza fuori dal coro, lontana dagli schemi a cui la letteratura provenzale e i cliché romantici ci hanno abituati: nella stagione dell’amore, in cui tutto «foglia e fiora», appunto, in cui tutta «la franca gente s’innamora», lei si dispera.
Il motivo è, in un certo senso, dei più topici: il padre la vuol dare per forza in sposa ad “un signore”.. La pratica dei matrimoni combinati era infatti largamente in uso in passato, soprattutto fra le famiglie benestanti, e alla donna non era dato nessundiritto di parola.
Quel che stupisce è che dal suo secondo sonetto – Lasciar vorìa lo mondo e Dio servire – Compiuta non sembra voler rifiutare le nozze del padre perché innamorata di un altro uomo, ma perché innamorata di Dio, il «Sire» per eccellenza.
Contrariamente alle tante donne che furono maritate a questo “Sommo Sire” per forza – una fra tutte la Monaca di Monza, di manzoniana memoria – Compiuta desidera il convento.
La ragione è spiegata nello stesso sonetto, da cui trapela un certo pessimismo nei confronti del mondo che vorrebbe lasciare per servire Dio. Ogni uomo, dice, «mal s’adona». L’unico che meriti l’amore della poetessa è Cristo, da cui tuttavia il padre la vorrebbe lontana forse proprio per motivi di convenienza familiare. La contrarietà al volere paterno la spinse addirittura a digiunare per protesta contro la famiglia, se si vuol dar credito a Francesco Barberino che, tra i suoi Documenti d’amore, raffigura una ragazza intenta al digiuno con una didascalia: “Compiuta Donzella”.
Non sappiamo come sia sia conclusa la vicenda del contrasto tra padre e figlia.
In un’epistola di Guittone d’Arezzo Compiuta viene definita a più riprese “donna”.
Come fa notare giustamente Cerrato, l’appellativo è ambivalente: poteva sì valere per “donna sposata”, ma poteva anche essere utilizzato in riferimento alle religiose e alle “monache nei conventi”. In un caso si registrerebbe l’ennesimo episodio in cui un padre, detentore della patria potestas, esercita il suo potere travalicando addirittura quello del Sommo Padre, che ispira in Compiuta la vocazione. Nell’altro si assisterebbe a un insolito successo della volontà di autodeterminazione femminile.
Compiuta, nelle nostre speranze, non è “donna” perché madre o moglie, ma perché sposa di quel Signore che aveva amato fin da quando, giovinetta, si disperava per l’arrivo della primavera.
L’esito, comunque, conta fino a un certo punto. In una vicenda biografica di cui si sa poco e niente è certo, Compiuta si è mostrata, se non altro, sovversiva e vittoriosa nel momento in cui, al pari della controparte maschile, decide di usare la parola per raccontare la sua storia, il suo punto di vista, i suoi desideri.
L’Amore che “le ditta dentro” forse non fu quello mondano, che ella aborriva, ma piuttosto quello più elevato e più etereo per Dio. E forse questo Amore non riuscì nemmeno a realizzarsi a causa delle costrizioni paterne, ma hadi sicuro ottenuto diritto d’asilo nella poesia e nella parola scritta.
Compiuta è dunque un grande modello di controcultura, sia nei confronti dei cliché femminili che di quelli maschili, che la vogliono o innamorata di un uomo che non può sposare o infelicemente maritata per convenienza.
Di fronte a queste pressioni alterne che la mettono a disagio per la sua impossibilità di amare un uomo di questa terra, Compiuta reagisce opponendosi: digiuna, ma soprattutto scrive. Scrive perché solo così può autodeterminarsi, può raccontare la sua versione.
Di tutta la sua produzione, che non doveva essere esigua a giudicare dalla stima dei contemporanei nei suoi confronti, si conservano pochi versi, ma in essi ci sono tutte le coordinate necessarie per capire chi quella donzella, che era in potenza una donna, fosse religiosa o laica, volesse diventare.
E forse è proprio in quei versi che la «donzella» si può dire già «compiuta» perché nella poesia la sua identità aveva trovato il modo di manifestarsi ed è così, come una ragazza che ha trovato la sua via per realizzarsi e fiorire, che è bello immaginarla.