Christmas Tree
Di Paola Ghisleni
Ci sono periodi in cui sui social sembra che la gente si metta tutta d’accordo, si sincronizzi e decida di pubblicare fotografie legate da un evidente fil rouge. Capita così di imbattersi in centinaia di bimbetti sulla soglia di casa con zaino sulle spalle e sorriso “Durban’s”, prati e alberi in fiore, gambe abbronzate con spiagge e mari turchesi sullo sfondo, strade lastricate coperte da manti di foglie, muretti a secco irrorati di arterie di vite americana.
E poi ogni anno arriva lui: l’albero di Natale.
Ne compaiono di tutte le tipologie, quelli bianchi con palline blu e azzurre, i classici con palline rosse e oro, con lucine colorate o bianche. Ne ho visto pubblicato persino uno tutto rosa e uno posizionato sotto-sopra: a mo’ di piramide capovolta.
Strappando lo scotch di carta che teneva chiuso il grande scatolone, ho pensato di aver fatto bene, diciassette anni fa, a scegliere tra tanti quel modello. Al garden center, davanti a quella vastissima scelta di pini sintetici, mio marito ed io rimanemmo sbigottiti, poi con calma e premura li passammo in rassegna uno ad uno finché trovammo quello giusto per noi: avremmo avuto il nostro albero e il nostro Natale.
Da bambina i compiti tra mia madre e mio padre erano ben definiti: lui avrebbe preso l’albero dalla soffitta, lo avrebbe montato e messo le lucine (assicurandosi prima che funzionassero); a seguire noi bambini, coordinati dal buon gusto di mia mamma, avremmo concluso l’opera d’addobbo con palline e decorazioni varie.
Mio padre era un uomo dalle innumerevoli doti ma diciamo che in fatto di gusto estetico e propensione verso arredo e decoro era piuttosto carente. La complementarità che i miei genitori mettevano in campo nel fare l’albero ogni 8 dicembre, fu penso, uno degli ingredienti che resero la loro unione vincente.
Anche se una discussione all’inizio del tutto avveniva sempre: posizionare l’albero sul tavolino prima o dopo averlo addobbato? Ero affezionata a quel simpatico battibecco, infatti dopo tanti anni diventò una sorta di tormentone; mio fratello ed io cominciammo a sottoporre la questione sin dall’inizio dei lavori, prendendoci gioco di loro.
I primi che ricordo erano alberelli spelacchiati di un colore verde smeraldo, le decorazioni in palese gusto anni Settanta sembravano talvolta restituzioni 3d di immagini caleidoscopiche che andavano dal fucsia al blu elettrico, all’argento. Un tripudio di colori e forme di gusto talmente kitsch che oggi potrebbe pure essere considerato di tendenza.
Mentre ogni Natale il nostro albero assumeva un’aria sempre più ricercata (colori scelti tra una precisa fascia della gamma cromatica, palline di vetro soffiato, luci bianche), quello di mia nonna pareva porre resistenza al restyling che la moda imponeva.
Mi piaceva trascorrere il tempo sul divano, sotto l’ombra dell’albero di Natale dei miei nonni, mi infondeva il loro stesso senso di calore e protezione. Sento ancora l’odore del muschio che mio nonno ed io raccoglievamo nel bosco per poi posizionarlo sul piedistallo sotto l’albero, quello zuccherino delle caramelle e marshmallows che mia nonna ci appendeva e il ronzio ad intermittenza della catena di luci fatta da tante piccole lanternine rosse. Adoravo lasciarmi cullare i pensieri da quel zzz-ZZ-zzz…
Diversi anni fa, in prossimità del Natale, mio marito ed io ci trovavamo in un lussuosissimo palazzo di Milano, nel quartiere di Sant’Ambrogio, per eseguire una decorazione pittorica.
Era un appartamento di quelli che compaiono sulle riviste d’arredamento. I mobili erano di gusto classico ma dal taglio contemporaneo, pavimenti in marmo e lampadari dei maestri vetrai veneziani; c’erano sauna, giardino d’inverno, camere ospiti e domestica con tanto di grembiulino bianco e cuffietta.
La proprietaria non lavorava, a differenza del marito che era sempre fuori casa per affari, e trascorreva la quasi totalità delle sue ore in quel mondo placcato d’oro; l’unica volta che la vedemmo uscire fu perché aveva un appuntamento da un rinomato parrucchiere.
Una mattina suonarono alla porta e la domestica fece entrare degli uomini che con un carrello portarono fino nel salone quello che già da sotto i cellophane grigi, s’intuiva essere un enorme albero di Natale. Lo spacchettarono e il nostro stupore fu grande nel vedere che si trattava di un albero preconfezionato, probabilmente proveniente da qualche boutique del verde e magari persino firmato da qualche famoso stilista o designer.
I colori, le forme e i materiali delle decorazioni erano stati abbinati con gusto e la loro disposizione realizzata bilanciando sapientemente i pieni e i vuoti. I signori trafficarono per un attimo con una prolunga, dopo un clic sull’interruttore, tutte le lucine presero a brillare e a riflettersi sulle preziose sfere di cristallo che risplendevano in tutta la loro bellezza.
La signora si avvicinò all’albero poi ci guardò, aspettando presumibilmente un nostro commento. “Bellissimo” esclamai. Sembrò che le avessi detto il contrario, infatti passò del tempo a concordare delle modifiche con i due signori, poi staccò loro un assegno e quelli se ne andarono.
Quest’anno appendendo le palline, i nostri bambini si sono fermati spesso per farci delle domande: “Questa è antica? Questa è quella che ci ha regalato la nonna? Questa è quella che abbiamo preso in Giappone?”.
Così a turno abbiamo risposto infarcendo i racconti di aneddoti e storie legate alle nostre famiglie. Abbiamo raccontato, anche quella delle nostre prime palline acquistate in sconto all’Ikea dopo l’Epifania, prima ancora che ci sposassimo.
Mio figlio adora alcune decorazioni che ho ereditato dall’albero dei miei nonni, e mia figlia quella di uno scoiattolo in resina (che fa capolino da una borsa regalo) che mia suocera comprò in Sudafrica. Ogni tanto si sono azzuffati per chi doveva appendere cosa o per richiedere ad Alexa una diversa musica natalizia.
Mio marito è riuscito a riparare, non so come, il trasformatore delle lucine led che sembravano ormai fuori uso.
A fine lavori l’albero mi è apparso sbilanciato, la parte centrale pienissima e quella alta pressoché vuota (abbiamo optato per decorarlo dopo averlo issato sopra la botte). Di contro i pargoli si sono fermati a guardarlo con sguardo adorante, anche il gatto ha dimostrato di gradirlo infilandosi tra le fronde.
Ho pensato di metterci mano e di sistemare il tutto, “Avete fatto un po’ un casino…” ho sentenziato.
Allora mio figlio se ne è uscito con un’osservazione: “Mamma l’albero è come tu lo guardi, se tu sei felice lo vedi bello, se tu sei triste o “che ne so”… ti sembra vuoto o brutto. Per me va bene”.
Mi sono allontanata di un poco, come si fa quando si osserva un dipinto. Effettivamente era tutto perfetto così.