Ha ancora senso parlare di femminismo?
Dopo secoli di lotte, qualche traguardo raggiunto, nuove istanze e nuove idee la parola femminismo ha ancora qualcosa da dire a noi attivist* del XXI secolo? La giornalista Cristina Sivieri Tagliabue ne ha parlato con Vera Gheno, Cristina Scocchia e Teresa Masciopinto nell’ultima giornata del festival WeWorld.
Di Elena Esposto
Ha ancora senso parlare di femminismo? Questa parola che fin dal Settecento ci ha guidate nelle lotte contro la misoginia della teoria aristotelica che considerava i maschi superiori alle femmine, nelle lotte per ottenere il diritto di voto, il diritto a lavorare fuori casa, il diritto di divorziare e di abortire e che poi dagli anni ’80 ha assunto caratteri sempre meno femministi, propugnando il mito della self-made woman ha ancora qualcosa da dirci oggi? Racchiude ancora un significato, o ne ha assunti altri? La sentiamo ancora nostra? E se sì, su che cosa si giocano oggi le battaglie del femminismo?
Ha preso le mosse da queste riflessioni l’incontro che si è tenuto domenica 19 maggio, in chiusura del Festival WeWorld a Milano, moderato dalla giornalista Cristina Sivieri Tagliabue a cui hanno preso parte Vera Gheno, sociolinguista e scrittrice, Cristina Scocchia, manager d’azienda e A.D di Illycaffè e Teresa Masciopinto, socia fondatrice di Banca Etica e Presidente della Fondazione Finanza Etica, che aveva appunto come titolo “Ha ancora senso parlare di femminismo?”
Non ha dubbi sulla risposta Vera Gheno. “Personalmente penso che la parola femminismo continui ad avere senso” spiega la sociolinguista “perché ci ricorda da dove siamo venute, ci ricorda che le rivendicazioni sociali hanno una matrice profondamente femminista. Le donne sono state tra le prime a sentire il bisogno di protestare rispetto a uno status quo, rispetto a una traduzione. Quindi anche se oggi il femminismo in cui mi riconosco è assolutamente aperto a tutte le differenze non penso che sia anacronistico chiamarlo così, perché è una specie di omaggio alla strada che abbiamo fatto fino a questo momento.”
Si può mantenere lo sguardo intersezionale, occuparsi dei diritti delle donne tenendo in conto anche le rivendicazioni di tutti gli altri gruppi marginalizzati e discriminati senza dover però rinunciare al termine.
Anche perché, si chiede Gheno, come potremmo chiamarlo? Universalismo? Tuttismo? Il rischio sarebbe quello di finire per diluire un messaggio che già comprende tutta la pluralità e la complessità.
Anche per Teresa Masciopinto dirsi femministe oggi ha ancora senso e forse ha addirittura più senso di quanto non ne abbia avuto in passato.
“Viviamo un tempo in cui da un lato l’individualismo la fa da sovrano” spiega “mentre dall’altro abbiamo di fronte l’indefettibilità di fare scelte che hanno ripercussioni collettive. Per me femminismo, oggi, è il desiderio di fare qualcosa, di lasciare un segno nella logica della collettività”, facendo attenzione a evitare le polarizzazioni scegliendo una forma di attivismo che sia sì radicale, ma allo stesso tempo dialogante perché sottolinea, “il dialogo è l’essenza del femminismo. Il mio mondo di riferimento, quello che vivo e quello che desidero che altre persone vivano dopo di me è un mondo che mette al centro il prendersi cura del futuro. E prendersi cura del futuro rimane la sfida del femminismo oggi, e significa includere le tante soggettività marginalizzate.”
Su cosa significa “agire il femminismo nella quotidianità del mondo del lavoro”, e in particolare di quello imprenditoriale, è intervenuta invece Cristina Scocchia.
“Credo veramente nel merito” ha affermato l’A.D di Illycaffè “e [avendo assunto ruoli di responsabilità, N.d.A] mi sono detta che nel mio piccolo, la mia battaglia sarebbe stata quella di dare pari opportunità a tutti, e da quel momento ho cercato di fare così in tutte le occasioni lavorative e di vita che ho avuto.”
Le ospiti, guidate dalle domande di Cristina Tagliabue, hanno anche affrontato il tema della leadership e di come questa si intreccia con i concetti di responsabilità e sorellanza, perché avere un ruolo nella società, qualsiasi esso sia, implica riconoscere che come agiamo non riguarda solo noi.
“È un momento di grande solipsismo quello del presente” ha detto Vera Gheno, “ma l’azione all’interno della società sottintende anche il ricordarsi di essere parte di una collettività. Nei comportamenti individuali c’è sempre una risultante collettiva, come si vede nel fatto di essere un exemplum, di far vedere e di vivere qualcosa. Io credo moltissimo nella teoria e nello studio, ma se poi la teoria e lo studio non diventano carne e sangue serve a poco, perché diventano una cosa asettica e lontana dalla vita delle persone.”
Per Cristina Scocchia responsabilità e leadership sono strettamente intrecciate. Leadership non è potere, ma responsabilità nel senso di prendersi cura delle persone che lavorano con te.
“Le aziende sono corpi sociali” spiega “e tu con le decisioni che prendi puoi avere un impatto sulla vita delle persone ed è tuo dovere che questo impatto sia positivo. Il profitto non può essere il fine ultimo ma ci vuole la capacità di integrare il valore economico con i valori etici, morali e sociali. questo concretamente significa che le persone vengono al primo posto sia quando è facile dirlo, ma anche quando è difficile farlo.”
Su leadership e sorellanza ha risposto Teresa Masciopinto, che non crede che i due termini siano l’uno il contrario dell’altro.
“Sicuramente leadership è assunzione di responsabilità” afferma, “ma è anche scegliere una maniera di fare le cose, di assumersi e fare assumere agli altri una responsabilità. Nel momento in cui si devono prendere delle decisioni difficili è il come si prende quella decisione, il livello di coinvolgimento delle altre persone, il pensare in maniera creativa a una soluzione che fa emergere il femminile della leadership.”
E chiude con una riflessione che torna agli spunti iniziali, ovvero sul come il femminismo può ancora orientare la nostra pratica nella vita di tutti i giorni.
“La battaglia delle donne oggi non è e non può essere quella per mantenere rendite di posizioni tra donne che hanno l’opportunità di essersi emancipate” spiega Masciopinto, “ma la grande battaglia è mettere nelle condizioni tutte e tutti di poter raggiungere un livello di benessere. Bisogna mettere in discussione questo sistema che alimenta e fa crescere le diseguaglianze. Dobbiamo chiederci come possiamo costruire un sistema in cui quello che non ha valore economico abbia comunque un riconoscimento in quanto elemento fondamentale per garantire il futuro di questo mondo”.
E per rispondere a questa domanda, e a tutte le altre, abbiamo davvero ancora bisogno di dirci femministe.