Saremo mai al sicuro? Dall’argentina l’ennesimo attacco del patriarcato ai diritti delle donne
Di Elena Esposto
“Nessuna conquista è per sempre. C’è sempre qualcuno interessato a toglierla” ammonì una volta Maria Cervi, figlia di Antenore Cervi, che il 28 dicembre del 1943 venne fucilato dai repubblichini insieme ai suoi sei fratelli, tutti antifascisti e partigiani.
Parole dure, che fanno paura perché le sappiamo vere. Nessuna conquista è per sempre. Che siano le conquiste della lotta antifascista o femminista non possiamo sederci sugli allori.
Saremo mai arrivate? Saremo mai al sicuro?
Credo che la recente sentenza della Cassazione che ha stabilito che il saluto romano fatto per fini commemorativi non viola la Legge Scelba (quella che prevede il reato di apologia al fascismo) parli da solo. Così come i continui attacchi al diritto di aborto, la retromarcia sui diritti LGBT+ e le continue istanze reazionarie che vediamo tutto attorno a noi, dentro e fuori dai confini domestici.
E di colpo, quello che sembrava ormai ovvio e consolidato ci sfugge dalle mani come uno sbuffo di fumo, pronto ad essere soffiato via da chi non considera la libertà (altrui) un valore.
E infatti, anche se sembra ieri che abbiamo festeggiato insieme alle sorelle argentine la tanto attesa legalizzazione dell’IVG, già su quella marea verde e luminosa si staglia la cupa ombra del patriarcato.
Un’ombra che ha un nome e un cognome: Javier Milei, neo eletto presidente dell’Argentina che già a poche ore dal suo insediamento ha messo in chiaro quale sia il suo primario obiettivo politico: spezzare le conquiste del femminismo.
Tanto per cominciare, Milei ha fatto fuori il Ministero delle donne, dei generi e della diversità, lo ha retrocesso a semplice Segretariato, ne ha ridotto i fondi e lo ha posto sotto il controllo di un altro ministero.
E sarebbe anche bastato per rendere chiara la sua posizione, ma il neo-presidente ha deciso di passare subito all’azione con un’enorme proposta di riforme strutturali, che se passassero andrebbero a toccare praticamente ogni aspetto della vita del Paese inclusi, ovviamente, i diritti delle donne.
Nel mirino del presidente è finita in primo luogo, manco a dirlo, la cosiddetta legge dei Mille giorni, il provvedimento rivoluzionario che nel 2021 aveva finalmente reso legale l’IVG nel Paese e aveva ampliato l’assistenza sanitaria alle persone incinte in situazioni di precarietà e ai loro figli e figlie entro i tre anni di età.
Milei ha chiesto di riformulare il testo della legge, cambiando il termine “persone” (che era stato scelto con evidente intento inclusivo) con “donne”, escludendo così le identità non cis e in particolare gli uomini trans. Inoltre, secondo la proposta i figli dovranno essere considerati soggetti di diritto a partire dal momento del concepimento, una posizione che cozza con la parte della legge che prevede la libera scelta di abortire e che, pertanto, dovrà essere passata al vaglio dell’analisi legislativa.
Il pacchetto di riforme, colpisce anche la Legge Micaela, che dal 2018 prevede l’obbligatorietà della formazione contro la violenza di genere per chiunque lavori nel pubblico. La proposta di riforma vuole non solo limitare gli ambiti di applicazione a quegli uffici ed enti che già si occupano di violenza di genere (e che quindi ne avrebbero meno bisogno), ma anche ridurre il concetto di “violenza di genere” a quello di “violenza domestica” escludendo così tutto lo spettro di abusi e molestie che possono avvenire fuori dalle mura di casa e del contesto della famiglia tradizionale, e che colpiscono più frequentemente identità queer.
La riforma comunque non contiene solo attacchi diretti alle libertà e ai diritti delle donne ma prevede anche ostacoli i più subdoli come quello che si annida nella proposta di un sistema elettorale uninominale. Questo tipo di sistema annulla di fatto la legge sua parità di genere perché, prevedendo un unico candidato per ogni collegio, finisce per favorire coloro che hanno più tempo e risorse da dedicare alla politica che, come sappiamo, raramente sono donne.
Infine, non poteva mancare la stretta su manifestazioni e parate, un evidente tentativo di imbavagliare il dissenso che ha già iniziato a scatenarsi. La proposta chiede un aumento della pena fino a cinque anni di carcere per chiunque organizzi una manifestazione che intralci il traffico o il trasporto e chiede di considerare qualsiasi riunione non autorizzata di tre o più persone che sia di ostacolo o limiti il transito, punibile con una pena fino a sei anni. Ogni manifestazione andrà dunque autorizzata dal ministero della sicurezza Nazionale che però potrà opporsi.
Tutto considerato, va detto che da uno che aveva scelto la motosega come simbolo della sua campagna elettorale e che non perdeva occasione per sventolarla con orgoglio non potevamo aspettarci niente di diverso. Era meglio pensarci prima ma, come si sa, del senno di poi son piene le fosse.
Quello che è certo è che la situazione argentina andrà tenuta d’ occhio. E se vogliamo evitare un rovinoso tuffo nel passato, con conseguente annegamento di diritti e libertà, sarà meglio non sederci sugli allori credendo che quello che succede oltreoceano non ci riguardi da molto, troppo vicino.