Essere donna: un “ruolo” o una “scelta”?
Di Francesca Corato
Donna è una parola dall’etimologia dinamica perché si riveste della versione che ognuna le cuce addosso per creare un mondo vario, dipinto di tante sfumature.
Essere donna vuol dire anche lottare, procacciarsi ciò che si desidera con coraggio. E non è sempre semplice, la storia lo insegna.
Quante volte la donna per essere ciò che vuole ha dovuto schierarsi contro tutti per sentirsi semplicemente uguale a tutti nei diritti e nelle opportunità?
La questione poi è ancora più ingarbugliata perché spesso prima dell’essere c’è la sua ricerca, soggiogata da diversi fattori, da voci fuori dal coro che cercano di stigmatizzare ciò a cui la donna può aspirare. Occorre che lei sia incentrata sulle cose più “propense” al suo sesso e alla sua condizione: partire da essere una brava bambina a un’accondiscendente moglie e a una responsabile madre. E il ciclo già confezionato passa da generazione a generazione, soffiando via ogni ideale. In fondo, sosterranno alcun*, quanto la maggior parte delle donne vive per la famiglia?
Ma non è questo il punto, scegliere cosa fare della propria vita non vuol dire privarsi di alcuni obiettivi.
“Voglio essere libera di capire chi sono e poi di essere ciò che desidero!”
La ricerca, d’altronde, è un percorso che affrontano tutt* nella vita, ma la donna ha veramente l’occasione di potersi addentrare in questo labirinto? Gode del tempo, della sicurezza, dell’appoggio della società per affrontare questo viaggio? O per lei il labirinto è più fitto di quello per un uomo?
Perché se non si accondiscende ai patti si diventa la stravagante, quella con i grilli per la testa, quella che ha il capriccio di voler cambiare. È un sacrificio dal prezzo salato e forse è per questo che spesso la donna decide di lasciare le cose come stanno, di assumere il ruolo che l’altro le permette, perché è più semplice e sicuro.
La sicurezza è fondamentale per la vita, ma quella di una donna è minata da tante minacce ed è così che questo concetto si muove dall’interno all’esterno, dalle nostre mani alle mani di un altro, di un uomo ad esempio, che soffre di meno problemi, che non ha bisogno di far valere la sua “categoria”. Sembra la descrizione dei passaggi di un gioco dove la libertà dell’essere retrocede fino a che diventa parte integrante dell’altro, non più una cosa propria.
L’altro diventa un’ancora nel mare aperto di questo mondo pericoloso perché per la donna lo è, glielo si insegna dal principio, dalla tenera età. La donna deve stare in allerta, perché è un essere delicato, da proteggere, sprovvista di gambe forti, propensa solo alla famiglia, ai figli, alle faccende casalinghe. L’uomo allora, in base a questi presupposti, diventa marito e padre e pilastro della propria vita, un’ombra che è sempre prima di lei.
L’ ”altra metà”, come se noi fossimo divise in due, non bastevoli a noi stesse (e non c’entra niente l’amore).
Si ha dunque bisogno dell’altro per avere una prospettiva, un sogno, un’esistenza degna? Questi che arrivano inconsciamente sono messaggi subdoli della società radicati nel corpo di tante donne, un tattoo imperscrutabile, una normalità legalizzata a cui quasi non si fa caso.
Non ce ne accorgiamo perché mia nonna faceva così, mia madre fa così, le mie amiche fanno così…quindi è tutto normale!
Oggi, nonostante tutto, molte donne desiderano essere libere e indipendenti, sfidare gli stereotipi, come è successo in passato e come sempre sarà, vogliono far scoppiare questa bolla d’illusione.
Essere libere di esprimersi, di provare emozioni, di avere e inseguire un sogno proprio, riconoscersi in quel sogno per costruire una strada, trovare e ascoltare la voce del proprio io, l’unica che serve, e amarsi talmente tanto da non scendere a patti con nessuno.
Abbandonare la convinzione di lasciar perdere perché è troppo complicato, ma di credere in se stesse senza delegarsi a faccende che non le interessano davvero. Rifiutarsi di ricoprire un ruolo che non ha scelto.
Come si può fare? Con la consapevolezza! Chiedersi: sto facendo quello che voglio o quello che posso?
E dopo? Raccogliere il coraggio di riconoscersi per quello che si è: una persona come tutte le altre, con i propri bisogni e i propri talenti. Un essere voglioso di vivere che possiede l’arma più potente di tutte: la volontà!
Ribaltare la situazione e convincersi della verità: una donna non ha bisogno necessariamente di essere guidata, è capace e forte come un uomo, siamo divers* in quanto esseri umani non in base al sesso. Due facce della stessa medaglia con le proprie caratteristiche da non perdere e rispettare. Non c’è giudizio altrui che valga, non bisogna retrocedere per paura di non poter essere perché la società non te lo permette.
Quello che non c’è esiste da qualche parte in attesa di essere trovato e se davvero non esiste si crea. L’accondiscendenza può essere la strada dell’infelicità. E la felicità ce la meritiamo tutt*!
La donna non è un essere bisognoso di cure e protezione, non è una bambina ma un essere cresciuto ed è capace di fare tante, troppe cose. Se solo riuscisse a vedersi brillare!
È vero che la luce fa paura più del buio, la responsabilità di poter essere tutto quello che sembra impossibile, ma scoprire te stessa è la cosa più bella che potrebbe capitare. Non bisogna perpetuare la notte, ma guardare dritto il sole.
Può intimorire sentirsi grandi, consapevoli, esposte, non pretendere gentilezza ma equità. Tuttavia alla fine non essere riuscite a vivere sarebbe la delusione più grande, guardare indietro e scovare rimpianti. Oltre la paura esistono terre inesplorate e incredibili che profumano di libertà e spensieratezza.
Donna salpa e affronta il rischio e troverai un tesoro inestimabile che nessuno potrà mai rubarti, sarà solo tuo, ti renderà ricca di Te.