Voglio essere mediocre
Di Giulia Farina
Ci hanno detto: “Vivere è una corsa, quindi corri
Lo capirai solo al traguardo”
Coma Cose
Ci sono momenti della vita in cui inizi a chiederti chi sei.
A questo punto si aprono due possibilità: ignorare la domanda e proseguire dritto per la tua strada oppure far sì che la stessa si insinui nei tuoi pensieri. Se scegli la prima opzione potresti scoprirti, forse troppo tardi, infelice. Se scegli la seconda non puoi più tornare indietro.
In questo secondo caso si apre infatti una crepa. Ho sempre pensato che mio compito fosse quello di ripararla, armata di spatola e stucco. Solo recentemente inizio a credere che dovrei capirla, apprezzarla, infine accoglierla.
Ma come fermarsi per risolvere l’indovinello quando vivere è una corsa continua, affannata?
Come proteggersi nel momento in cui, fermi e in silenzio, ci sentiamo costantemente in ritardo?
E poi, indietro su cosa?
La pressione sociale incombe: ti devi distinguere, devi essere speciale.
Ho ventisei anni e, per quanto mi sforzi, non riesco a zittire quella vocina che quotidianamente mi ripete “Non sei abbastanza”.
Apro LinkedIn: A. è stata assunta da Hermés, V. da Johnson & Johnson, P. da Amazon, G. da Sky, R. da Gucci. E la lista è lunga. R. ha conseguito il secondo Master, F. ha concluso il suo Dottorato, I. vola da Dubai a Milano a Roma in due settimane.
E tu?
Ti senti indietro. Nessuna trasferta, nessun aumento di stipendio, nessuna certezza professionale, non hai una bella macchina, non hai comprato casa e sei ancora confusa su cosa vorrai fare.
Ti preoccupi di chi vorrai essere ancora prima di esserti chiesta chi sei.
Dividiamo la nostra vita in compartimenti stagni e per ognuno riserviamo energie e pensieri nell’attesa di quella svolta che ci farà finalmente sentire al pari dei nostri coetanei.
Viviamo in un’epoca, e in una società, che ci costringe all’eccellenza, che ci spinge a essere speciali.
Abbiamo confuso l’equilibrio con la monotonia.
Rifuggiamo il dramma della normalità: dobbiamo avere di più, essere di più.
Inizia qui la nostra corsa: dal tentativo di essere migliori.
Inizia qui la nostra guerra nei confronti di chi ci circonda: dal tentativo di essere migliori degli altri.
Immerse nella società della performance appiattiamo la realtà a un’unica storia senza considerarne le molteplici versioni e prospettive. Dimentiche dei privilegi detenuti da molte mettiamo in campo un confronto sterile che non considera le variabili in gioco.
Siamo cresciute nella convinzione che una laurea potesse salvarci e condurci sulla via del successo: economico, personale e sociale.
Siamo una generazione che, però, si è scontrata con la realtà, con gli strascichi della crisi del 2008, con una politica instabile, con una crisi climatica sempre più grave.
Siamo cresciute credendoci padrone e artefici del nostro destino.
Ci siamo scontrate con l’impossibilità di detenere le redini della nostra vita: non possiamo vincere sempre.
Il battito cardiaco accelera, la mente barcolla, il sorriso si spegne.
Ti senti mediocre e, forse, va bene così.
Mediocre: dal latino mediocris – derivato da medius – che sta per medio, che è in mezzo, che occupa la posizione centrale e che – in ragione di ciò – è ugualmente distante da ogni estremo o eccesso.
Incredibile pensare che nell’antichità greci e romani lodavano la “medietà”: lontana dagli eccessi, la via di mezzo era la chiave per la felicità. Per noi significherebbe accontentarci, per loro consisteva nel considerare i propri limiti e abbracciare fino in fondo ciò che si riesce a raggiungere (continuando ad impegnarsi, logico).
Spesso ci troviamo a domandarci quale sia l’origine di un substrato di insoddisfazione che permea buona parte delle nostre giornate. Ciò che ci trascina a fondo è il parallelismo con gli altri, solo quelli che sono – secondo noi – più felici e realizzati. Scattano così nella mente una serie di ragionamenti destinati a farci sentire inferiori, tutto ciò perché non partiamo da chi siamo, ma da ciò che hanno ottenuto gli altri.
Sempre tese al “di più”, allo spingerci oltre, non apprezziamo il viaggio intrapreso, le tappe collezionate.
Dovremmo allora rivolgerci, seguendo la lezione degli antichi – scevra delle contaminazioni del tempo, a un’interrogazione feconda che parte da chi siamo.
Ritorno allora alla domanda iniziale: la crepa è comparsa sul muro della mia stanza. È lì e ogni giorno mi costringe, una volta coricata e a ogni squillo mattutino della sveglia, a guardarla.
Ogni tanto sembra cambiare forma: ieri era più sottile, oggi più profonda, ieri era più lunga, oggi sembra un pelo più corta.
Chi sono?
Forse è proprio quel punto interrogativo finale la soluzione: il mutarsi continuo della possibile risposta. L’equilibrio è instabile: cambia a ogni soffio di vento, si riallinea a ogni cambiamento.
E quell’equilibrio è solo nostro. Permettiamoci di essere mediocri, di trovare ciò che funziona per noi, di non vedere nell’altro un ostacolo da superare. Guardiamoci, sfidiamoci e costruiamo la nostra versione di felicità, senza lasciarci contaminare dal chiasso di ciò che ci viene presentato come successo.