Bullismo e discriminazione nel metaverso: chi è al sicuro?
Di Sofia Brizio
L’emittente britannica Channel 4 il mese scorso ha rilasciato un documentario intitolato Inside the Metaverse: Are we safe?, che esplora i pericoli del metaverso e della realtà virtuale, spingendoci a riflettere su cosa ci aspetta in un futuro che per certi versi è già realtà.
Il metaverso è un universo in realtà virtuale creato da Meta, la parent company di Facebook, Instagram e Whatsapp. Sebbene sia un’invenzione sviluppata di recente, il metaverso ha già raggiunto un valore stimato di circa dieci miliardi di dollari nel 2021. Gli esperti lo definiscono la rivoluzione più grande dall’invenzione stessa di internet, letteralmente una versione tridimensionale di internet destinata a cambiare radicalmente il modo in cui vivremo le nostre vite lavorative, sociali, e il modo in cui usufruiremo di prodotti e servizi. I più scettici dicono che l’economia della realtà virtuale stia già fallendo, ma è indubbio che molti utenti di Meta la usino frequentemente a scopo ricreativo, soprattutto negli Stati Uniti.
La pandemia ha accelerato l’avvicinamento globale a questa nuova tecnologia, che permette agli utenti di interagire in una realtà virtuale con un avatar personalizzato. Gli utenti indossano un set chiamato Oculus, attraverso il quale entrano in stanze virtuali in cui possono muoversi, parlare e giocare con altri utenti. Secondo l’investigazione di Channel 4, l’Oculus di Meta è già stato acquistato da più di otto milioni di persone, e la relativa app di realtà virtuale è stata la più scaricata del giorno di Natale 2021.
Molte aziende guardano già a un futuro in cui per andare al lavoro basterà indossare un Oculus per entrare nell’ufficio virtuale e chiacchierare, passeggiare e tenere riunioni con gli avatar sorridenti dei propri colleghi, senza muoversi da casa. La stessa cosa potrebbe valere per i supermercati, le discoteche, e altri servizi di uso quotidiano.
Il problema in tutto questo è che le regole dei social si applicano anche alla loro versione tridimensionale. Ognuno è libero di dire e fare quello che vuole: ciò che non sarebbe mai accettabile in pubblico, è accettabile nel metaverso. Sebbene Meta abbia dichiarato di prendere provvedimenti seri di fronte a segnalazioni di abusi e discriminazione, il documentario di Channel 4 rivela una realtà molto diversa e preoccupante.
Nel reportage, la giornalista nera Yinka Bokinni entra nelle chat-room del metaverso segnalate come appropriate per bambini e nel giro di pochi minuti diventa bersaglio di violenze a sfondo razzista e sessuale, con insulti così violenti che l’emittente ha dovuto censurarli. Nonostante esista un’opzione per bloccare gli utenti che commettono abusi, quando la giornalista tenta di segnalare l’esperienza a Meta, viene ignorata e l’investigazione da parte dei moderatori della piattaforma non prosegue.
Purtroppo, Yinka Bokinni non è la sola ad aver sperimentato abusi nel metaverso. Una ricerca del Centre for Countering Digital Hate (centro di ricerca contro l’odio digitale) rivela che gli utenti delle chatroom di realtà virtuale più usate subiscono abusi in media ogni sette minuti e che le donne si ritrovano costrette a segnalare regolarmente episodi di stupro.
Anche se forse non sorprende sapere che le categorie marginalizzate sono più soggette ad abusi sui social rispetto alla media, l’utilizzo crescente della realtà virtuale ci dovrebbe spingere a riflettere su come internet imiti, se non addirittura incoraggi, le stesse gerarchie e ingiustizie della vita offline. Per definizione è un luogo in cui la cosiddetta libertà di pensiero regna sovrana e le piattaforme raramente si assumono la responsabilità dei contenuti che gli utenti creano. È questo che lo rende pericoloso per le categorie che sono normalmente discriminate dalla società. Gli esempi variano dallo shadow ban di content creators che parlano di temi sociali su Instagram alle violenze razziste, misogine e omotransfobiche nella realtà virtuale appena citate.
Ma nella realtà virtuale, gli episodi di abuso assumono sfumature se possibile ancor più pericolose del cyberbullismo sui social tradizionali. Brittan Heller, avvocata e esperta di tecnologia e diritti umani, ha spiegato a Channel 4: “Il modo in cui il nostro cervello reagisce alla realtà virtuale è molto diverso dal modo in cui reagisce a Facebook e Twitter. Le esperienze avute in realtà virtuale rimangono nell’ippocampo, proprio come i ricordi della vita reale, perché la realtà virtuale è fatta per sembrare vera. La possibilità di sviluppare traumi è molto più alta rispetto a qualsiasi altra tecnologia, cosa che mette a rischio anche i bambini.”
In questo mondo digitale, ma tridimensionale e a tutti gli effetti reale, i metodi di moderazione tradizionale basati sull’intelligenza artificiale non bastano più. Ma i responsabili del metaverso non hanno ancora dato linee guida chiare e la responsabilità sembra essere tutta degli utenti. Quando gli utenti più a rischio di abuso sono le categorie marginalizzate, chi è al sicuro nel metaverso? La risposta, nella maggior parte dei casi, è che chi è uomo, bianco, etero e cis, probabilmente non ha nulla da temere.
Persino l’ottimismo nei confronti del metaverso suscita preoccupazione. In un articolo pubblicato su un giornale accademico, si dice che grazie agli avatar della realtà virtuale, gli utenti potranno scegliere di nascondere caratteristiche quali colore della pelle, genere o disabilità, annullando possibili discriminazioni anche in ambito lavorativo. Ma è davvero una cosa positiva? In un mondo in cui i movimenti di estrema destra continuano a crescere in popolarità, le piattaforme digitali hanno da sempre rappresentato uno spazio in cui le minoranze possono trovare la propria comunità e sentirsi al sicuro. Questi nuovi sviluppi rischiano di portarci nella direzione opposta, catapultandoci in una situazione in cui il profitto prevarrà sulla sicurezza degli utenti.
Senza andare troppo lontano, il recente acquisto di Twitter da parte di Elon Musk potrebbe portare cambiamenti significativi a una piattaforma che più di altre ospita le community di persone razzializzate, disabili, e LGBTQ+. Musk ha in programma di cambiare gli algoritmi della piattaforma in nome della libertà di pensiero, e il timore è che Twitter smetta di essere un luogo sicuro per le minoranze. Tra le altre cose, preoccupa l’intenzione di Musk di ripristinare l’account Twitter di Donald Trump, precedentemente bandito dalla piattaforma per le sue affermazioni estreme e incitamento all’odio.
La speranza per il futuro è che i politici e le autorità europee e mondiali si impegnino a promulgare leggi che proteggano soprattutto le categorie marginalizzate dai pericoli dei social in qualsiasi forma. Solo così, la libertà di espressione potrà essere davvero protetta.