Boy Erased: storia di un ragazzo “cancellato” dalle terapie di conversione
Di Paola Beltrami
“Lunedì 7 giugno 2004: la mia storia di ex-gay ha inizio”. Comincia così il memoir di Garrard Conley, “Boy Erased-Vite Cancellate”, uscito nel 2016 e pubblicato in Italia nel 2018 da Edizioni Black Coffee).
Nel romanzo, l’autore descrive come, dopo aver dichiarato la propria omosessualità in famiglia (Conley è figlio di un pastore battista e cresce in un contesto fortemente religioso), viene sottoposto ad una terapia di conversione presso il centro Love in Action (LIA), un’organizzazione fondamentalista cristiana il cui obiettivo consiste nel “curare” l* membr* della comunità LGBTQI+ dalle loro “devianze sessuali”.
L’organizzazione ha fatto della promozione di “terapie riparative” il proprio slogan, e la sua attività ha proseguito fino al 2019, quando il sito web ed i social media del programma vengono ufficialmente chiusi.
Il memoir di Conley è diventato in seguito un’omonima trasposizione cinematografica, prodotta nel 2018 e diretta da Joel Edgerton. Il film segue gli avvenimenti della testimonianza originale, cambiando solo il nome dei personaggi. Garrard è dunque Jared Eamons (Lucas Hedges), un ragazzo che, in seguito al proprio coming out, viene iscritto al programma di conversione di LIA.
Sin dalle scene iniziali il regista sembra inserire volontariamente singoli frame simbolici. Ad esempio, in una delle prime sequenze, la cinepresa inquadra la targa posteriore dell’auto dei genitori di Jared, in cui si legge : ‘Arkansas – Land of opportunity’.
L’inquadratura ha un chiaro intento ironico, e sottolinea il paradosso per cui questa ‘opportunity’ sia possibile solo per una precisa fetta di popolazione statunitense: la parte bianca, maschile, eterosessuale e cristiana.
La negazione dei diritti fondanti è ancora oggi il grande paradosso degli Stai Uniti, che nascono con la promessa di garantire eguaglianza a tutt*: in realtà, per dirla alla Orwell, tutt* l* cittadin* sono ugual*, ma alcun* sono più ugual* di altr*.
A Jared, infatti, vengono negate l’opportunità di esprimere liberamente il proprio orientamento sessuale, di poter scegliere attivamente della propria vita, di sentirsi affrancato dai giudizi di stampo religioso della propria famiglia.
Nonostante la retorica di Love in Action fosse quella di offrire un benevolo aiuto per “incoraggiare uomini e donne a vivere vite pure dal punto di vista relazionale e sessuale, nel nome di Gesù Cristo” (come si legge in The Source, il manuale dispensato a* partecipant* del programma di LIA, in realtà le tecniche di conversione adottate nei programmi corrispondono a veri e propri abusi verbali e fisici, come ad esempio la formulazione di lettere di scuse per la propria omosessualità, rigorosamente da recitare a voce alta, in pubblico, chiedendo perdono per i propri peccati, oppure una vera e propria messa in scena del funerale della propria “devianza sessuale”.
“La gente vi dice che si nasce omosessuali, ma non è vero” esclama Victor Sykes, il dirigente del centro di LIA “Non si può nascere omosessuali, è una bugia. È un comportamento, è una scelta. Dobbiamo imparare da soli da dove viene quel comportamento, per poterlo eliminare”.
Nessuna forma di terapia che preveda l’empatia e la comprensione, dunque, ma solo un capillare uso della violenza in ogni sua possibile forma.
Di fronte a queste vessazioni sistematiche, l* partecipant* al programma adottano una serie di meccanismi di coping verso quanto sperimentano durante il periodo al centro. Il film mostra chiaramente le diverse reazioni psicologiche de* personagg*, con l’intento di dimostrare all* spettator* le devastanti conseguenze di un programma interamente basato sull’istituzionalizzazione dell’omofobia.
C’è chi sceglie l’auto-inganno, convincendosi ad ogni costo della validità delle terapie riparative, interiorizzando la credenza secondo cui l’omosessualità sia veramente una devianza personale. È questo l’atteggiamento dell’ex-militare Jon (Xavier Dolan). Egli si autoconvince, parla dei suoi “cedimenti” con i referenti di LIA, cerca di persuadere se stesso e l* altr* che il programma possa funzionare. “Questi sono gli impulsi che dobbiamo reprimere” ribadisce Jon a Jared in una scena del film, “devi controllare questo”, ed indica la propria testa.
Un altro atteggiamento psicologico di sopravvivenza è quello di Gary (Troye Sivan), la cui strategia è quella del fake it until you make it, fingi finché non riesci.
Gary si rende conto della colossale bugia su cui si fondano le terapie di conversione, ed è determinato ad uscire al più presto dal programma impostogli. Tuttavia, se non può sfuggire alle prediche di Sykes, può sempre mentire sul suo reale pentimento e convincere i referenti della sua “guarigione”.
Nel film, Gary rivela a Jared il suo piano, suggerendogli di fare altrettanto: “Cominci a capire di che si tratta. […] Ti voglio dare un consiglio. Fai la parte. Fa’ vedere che funziona, che stai molto meglio. Fingi finché non riesci, giusto? […] cerca di avere un piano, a meno che non credi di poter cambiare, magari è quello che vuoi”.
Il terzo meccanismo psicologico è infine quello di Cameron (Britton Sear). In una scena centrale del film viene sottoposto alla messinscena del funerale della propria omosessualità, con tanto di feretro presente e di partecipant* ad assistere al rito.
Cameron viene posto al centro della sala, mentre i suoi familiari sono invitati a turno ad alzarsi ed a colpirlo con una Bibbia e voci accorate attorno a lui invitano il Diavolo ad allontanarsi dal corpo e dalla mente del ragazzo.
La terribile scena ci mostra la cruda realtà delle terapie di conversione, basate sulla giustificazione dell’abuso in ogni forma. Il funerale cattolico e la Bibbia, sono i mezzi simbolici tramite cui l’omofobia viene impressa a* “pazient*” con vivida lucidità.
Non c’è nulla che possa giustificare il trattamento inflitto a Cameron. Il giovane non reggerà il senso di colpa e le continue vessazioni a cui è ciclicamente sottoposto. Di fronte ad una strada senza apparenti vie d’uscita, egli sceglierà di togliersi la vita. È l’ennesimo colpo di grazia per Jared. Perché la verità è solo una: la vita di Cameron è stata spenta dal LIA, dalla sua famiglia, e, più in generale, da tutta quella parte conservatrice, eteronormativa e patriarcale che si ostina a voler eliminare ciò che non considera “buona norma”.
La terapia riparativa di Jared (nonché quella di Garrard) si conclude con la sua decisione di abbandonare LIA, sostenuto dalla madre, la quale comprende l’assurdità di quanto inizialmente imposto al figlio. Conley elaborerà di seguito la propria testimonianza.
Ancora oggi, l’autore di Boy Erased continua la propria campagna a favore dell’abolizione delle terapie riparative. Nell’America del 2022, solo 20 Stati più il Distretto di Columbia su 50 totali hanno dichiarato illegale la terapia di conversione, e solamente per quanto riguarda l* minor*.
In Italia, la legislazione corrente non prevede alcun tipo di illegalità per le terapie riparative. Nel 2016 è stata presentata una mozione che mirava a proibirle definitivamente, promossa dal politico Sergio Lo Giudice. Il disegno di legge prevedeva la reclusione fino a due anni e la multa da 10mila a 50mila euro per chiunque praticasse queste terapie. La mozione, però, non è mai stata discussa.
Il pretesto per insabbiare il disegno di legge è stato lo stesso di tante altre iniziative legislative che riguardano la comunità LGBTQIA+: non è una priorità. Il risultato, come afferma Lo Giudice stesso in un’intervista rilasciata ad Huffington Post, è quello di aumentare il cosiddetto minority stress, il disagio interiore vissuto da chi si trova in una situazione di minoranza, di stigma sociale.
In questo senso, Boy Erased si pone proprio come una delle numerose testimonianze di quanto le terapie riparative si fondino su presupposti di omofobia interiorizzata ed istituzionalizzata, di cui ancora troppe persone subiscono le ingiuste conseguenze.