Work or pleasure?

Di Chiara Cozzi

Work or pleasure? Lavoro o piacere? Questa è la domanda con cui si apre Pleasure della regista Ninja Thyberg, uno dei lavori di riflessione meglio riusciti sul mondo del cinema porno.

In un’epoca in cui il sex work è ormai sdoganato e decisamente patinato, grazie alle sempre più potenti industrie dell’hard e a piattaforme come Only Fans, Thyberg mostra in maniera decisamente cruda e senza filtri,  gioie (alcune) e dolori (molti) di chi vive in questo mondo, nel quale consuma e, soprattutto, da cui è consumat*, e lo fa attraverso la protagonista Bella Cherry (interpretata da Sofia Kippel), nome d’arte di Linnéa, una diciannovenne svedese che arriva a Los Angeles per farsi strada nel mondo dell’industria pornografica.

Il bello di questo film sta nel fatto che Ninja Thyberg decide di non negare nulla all* spettator* mostrando qualsiasi dettaglio, anche i più scioccanti, crudi e violenti; decisamente un esempio concreto e ben riuscito di una regista  che dimostra di saper utilizzare sapientemente la macchina da presa e di non farsi problemi a riprendere ogni aspetto della realtà, specialmente laddove ci si addentra in uno spazio che da sempre è stato considerato fruibile e realizzabile soltanto dagli uomini.

Una regia sincera, schietta e senza sconti, così come la vita, che mostra decisa anche i suoi lati più terribili e mostruosi. In questo modo, specularmente alla bellezza della sincerità registica, si palesa anche tutta la bruttezza che Pleasure è in grado di offrire: nulla è risparmiato, i trigger warning si sprecano, l* spettator* è costrett* a guardare inerme anche le più brutali violenze che si realizzano in nome di un’industria in cui tutto ruota attorno alla contrattualistica e al piacere di chi la consuma senza mai interrogarsi su chi ne è consumato.

Il mondo del sex work viene mostrato come fagocitante e parassita, specialmente nei confronti delle donne. Nell’epoca di internet, nella quale a chiunque viene potenzialmente permesso di essere qualcun*, basta poco per far sì che la libertà sessuale passi da empowerment a pericolosa ambizione, che andare oltre i propri limiti sacrosanti diventi la norma in un tentativo irrealizzabile di essere migliori de* propri* collegh*.

Quello che si respira dell’industria pornografica, guardando Pleasure, è l’odore della misoginia, così corrosivo da consumare qualsiasi cosa e qualsiasi donna fino a non lasciarne più traccia, se non un bellissimo involucro, simulacro di piaceri e soddisfazioni sessuali di cui si fa promotore ma di cui in realtà non gode.

Le donne, nonostante la parvenza di libertà che lo sdoganamento contemporaneo del sesso ha creato, sono in realtà merce di consumo e oggetti consumabili fino allo stremo, spogliate non solo degli abiti ma di qualsiasi forma di umanità e dignità. È proprio questo, allora, ciò a cui si aspira per migliorare la propria condizione di vita?

Il film di Ninja Thyberg diventa un nuovo modo di fare e mostrare l’horror: non abbiamo più bisogno di mostri e di jump scare per spaventarci, perché basta la realtà a farlo. I pericoli e le insidie sono reali e si nascondono ovunque; basta davvero poco perché prendano il pieno controllo sulle nostre esistenze. Anche una faccia amica e ciò che abbiamo di più caro può nascondere lati spaventosi che mai avremmo immaginato, e si resta così sol* con quei demoni che non sono soltanto propri ma anche figli di una realtà che terrorizza e ci rende inermi, schiav* di un “così va il mondo” pronunciato con saccente rassegnazione.

Il punto di vista di Thyberg, comunque, non è affatto giudicante. Non sentenzia né sulle persone che scelgono di lavorare nell’industria pornografica né sulla stessa. Mette in scena paure, sogni, ambizioni e timori di una generazione giovanissima a cui è stato insegnato a essere libera in un mondo in cui tutto è possibile se lo desideri ardentemente.

Forse proprio il desiderio, in tutte le sue sfumature, a essere l’elemento fondante di un film come Pleasure, che segna uno spartiacque nel mondo del cinema e della regia da cui sarà difficile tornare indietro, dando vita, insieme a cineaste come Ducournau e Fargeat, a un’epoca filmica tutta al femminile che non risparmia nulla ma da cui nel futuro possiamo aspettarci davvero di tutto.