Celebrità e disabilità, qualche riflessione
Crediti immagine: Katie Pennick via Twitter
Di Sofia Brizio
Se avete letto i miei articoli precedenti o anche solo passato un po’ di tempo su Instagram di recente, allora saprete che uno dei punti cardine dell’attivismo per i diritti delle persone disabili è la consapevolezza che, prima o poi, la disabilità farà parte della vita di ciascun* di noi. Da qui la tendenza, soprattutto nei circoli di attivist*, a sostituire il termine ‘normodotato’ con l’espressione ‘temporaneamente abile’ o simili. Come sempre, la comprensione, la consapevolezza e il cambiamento passano prima di tutto dal linguaggio, e quindi anche dai media. Alcuni episodi recenti in Italia e all’estero mi hanno spinta a riflettere sulla negatività dei media tradizionali nei confronti della disabilità e a come, anche quando si potrebbero sfruttare occasioni per descrivere la disabilità come esperienza umana universale, la narrazione è sempre pietistica o addirittura offensiva. Mi riferisco soprattutto ai casi in cui a sperimentare una condizione di disabilità è una celebrità o personaggio noto, che invece di essere usati per incoraggiare una critica sociale più ampia, sono raccontati in modi che contribuiscono alla demonizzazione della disabilità.
L’esempio più eclatante mi è venuto in mente proprio adesso che il Regno Unito si prepara a festeggiare il Giubileo di platino per i 70 anni di regno della regina Elisabetta. Da poco meno di un anno, la sovrana utilizza una carrozzina per spostarsi, cosa che secondo i media britannici l’avrebbe spinta ad annullare alcune apparizioni in pubblico perché “troppo orgogliosa per essere fotografata in sedia a rotelle”. Lo stesso punto di vista è stato adottato anche dai media italiani, ad esempio in questo scandaloso servizio del TG1, in cui si dice che “la regina è riapparsa in pubblico e lo ha fatto con dignità, cioè senza la sedia a rotelle”. Se la difficoltà di accettare la disabilità e la perdita di movimento ad un certo punto della propria vita è perfettamente accettabile, e dovrebbe sicuramente esserci un dialogo più ampio al riguardo, non è per nulla giustificabile rappresentare gli ausili e la disabilità come perdita automatica di dignità e autonomia.
E mentre i media anno scelto il pietismo, gli attivist* hanno colto la palla al balzo. Quando la regina non ha partecipato alla State Opening of Parliament perché impossibilitata a camminare, molt* hanno fatto notare come sarebbe stato sufficiente mettere una rampa sul palco del trono per permettere alla sovrana di accedere.
Il messaggio forte e chiaro trasmesso da questo episodio è che le persone disabili non sono benvenute nelle posizioni di potere e che la loro partecipazione alla vita sociale e politica è secondaria. Riportando tali dichiarazioni, i media hanno legittimato questa esclusione.
Non dissimile è il caso italiano di Papa Francesco. Secondo un articolo del Corriere della Sera, il papa avrebbe dei problemi al ginocchio che lo avrebbero costretto ad alcune apparizioni pubbliche in sedia a rotelle. Il papa avrebbe definito “umiliante” l’uso della sedia a rotelle, senza rendersi conto che è proprio la carrozzina a permettergli di continuare a fare il suo lavoro.
Altro caso italiano è quello di Manuel Bortuzzo, nuotatore rimasto coinvolto in una sparatoria nel 2019 e disabile da allora. I media ci hanno propinato fino allo sfinimento la sua vicenda tragica, parlando di “sogno spezzato delle Olimpiadi”. E le Paralimpiadi dove le lasciamo? Un’occasione per dimostrare che la disabilità non rappresenta la fine della vita, ma piuttosto l’inizio di un percorso nuovo e magari anche più soddisfacente, si è ancora una volta trasformata nella fiera del pietismo.
I tre casi che ho citato dovrebbero farci riflettere su quanta strada abbiamo ancora da fare, perché la vera inclusione non si può realizzare senza il rispetto, e il rispetto passa dai messaggi che riceviamo. No, la mia disabilità non è un’umiliazione, e quest’uso irresponsabile dei media è dimostrazione del fatto che noi disabili dobbiamo combattere costantemente per la nostra dignità, perché il mondo fa di tutto per togliercela.