Non chiedeteci di sorridere
Di Martina Boselli
L’altro giorno me ne stavo tranquilla per i fatti miei, assorta nei miei pensieri ed immersa in una tabella di Excel, era insomma un momento professionale.
All’improvviso (ed in modo assolutamente random) e fuori contesto, una persona (che probabilmente non sa nemmeno come mi chiamo), mi guarda ed esclama «certo che… sei sempre così seria!». Sul momento mi lascia spiazzata: cerco di fare un mega sorriso, sbattendo le ciglia e rispondendo educatamente «Io?! Ma no, dai!».
Dall’altro lato: silenzio.
Questo episodio mi è ronzato in testa per diverso tempo. Inizialmente con un senso di dispiacere: non è la prima volta che mi vengono rivolti commenti del genere, ho iniziato a domandarmi se davvero avessi una tipica ‘grumpy face’.
Insomma, dopo averci rimuginato su per qualche giorno (sì, sono una ‘overthinker’ per eccellenza), mi sono domandata perché questa persona si fosse sentita in diritto di fare commenti su come sono, alludendo subdolamente, a come sarebbe meglio che fossi: carina e sorridente. Sempre. A posteriori ho realizzato che la risposta più sensata sarebbe stata «perdonami, non avevo realizzato che fossimo al cabaret!».
Da sempre viene insegnato, soprattutto alle ragazze, di essere disponibili e sorridenti (non importa se non c’è una mazza da ridere). Uno studio su Neuroscience. com commenta:
Questa costante aspettativa sulle ragazze di essere sempre sorridenti, le depoliticizza e le posiziona come accondiscendenti nella loro stessa sottomissione. Se tutti amano una ragazza felice (everyone loves a happy girl frase attribuita ad Audrey Hepburn oggi utilizzata come statement su vari capi di abbigliamento – ndr), come dice la maglietta, allora le ragazze infelici non sono amabili: è un chiaro avvertimento per le ragazze a mantenere la felicità oppure ad ammettere di essere psicologicamente ed esteticamente poco attraenti.
Dobbiamo quindi sembrare innocue, addomesticate e desiderabili. Davvero non possiamo essere altro? Donald Trump (non un grande esempio di intelligenza ed empatia, mi rendo conto), derise Greta Thunberg tramite un Tweet che diceva più o meno così: “Sembra davvero una ragazza molto felice, con davanti uno stupendo futuro”, prendendosi chiaramente gioco dell’espressione rigorosa ed austera della giovane attivista, che di certo si occupa di temi molto delicati e su cui c’è ben poco da ridere, non di certo di barzellette su Francesco Totti.
Nel 2018 a Nancy Pelosi (speaker della Camera dei rappresentanti degli Stati Uniti) è toccata la stessa sorte, quando la segretaria della Casa Bianca Sarah Sanders disse che “dovrebbe sorridere di più”.
Hillary Clinton, nel pieno delle elezioni presidenziali del 2016, fu accusata, di non essere abbastanza sorridente. Quando la donna decise di cambiare atteggiamento sfoggiando un sorriso a trentasei denti, venne criticata anche per questo. Un utente del web ha sintetizzato perfettamente la situazione:
Quindi, le persone criticano Hillary Clinton per non sorridere abbastanza durante i dibattiti, poi di sorridere troppo in quelli successivi: questo ci riporta a tutte quelle situazioni in cui qualche estraneo ci ricorda di sorridere ed essere sempre gentili. […] Ho pensato che fosse strano che Clinton sorridesse così ampiamente mentre parlava di determinati argomenti? Sì. Ma con così tante persone che le hanno detto di sorridere e di sembrare calorosa e positiva… così ha fatto. Sicuramente c’è un’altra critica più utile, meno immersa nel sessismo casuale che le donne sperimentano quotidianamente su cui ragionare, piuttosto che lamentarsi di questo.
Questo permette di affrontare un altro punto determinante: un uomo arrabbiato o molto serio nell’esprimere certi concetti, concentrato, evoca un’immagine di determinazione; mentre per una donna lo stesso atteggiamento è visto invece come un segno di squilibrio, emotività, poco autocontrollo oppure, viceversa, freddezza. Insomma come fai, sbagli. Un uomo (tendenzialmente cis, bianco, etero) dal polso fermo è un leader dotato di self control, in grado di farsi rispettare, una donna è una stron*a.
Nel 2015, durante un’intervista alla tennista Serena Williams, un reporter le ha chiesto come mai non stesse sorridendo dopo aver vinto un match contro la sorella. L’atleta ha avuto una risposta brutalmente onesta e pronta: «Sono le 23.30. Ad essere onesta non vorrei essere qui. Vorrei essere a letto in questo momento perché domani dovrò alzarmi presto per allenarmi. E non voglio rispondere a nessuna di queste domande che continuate a farmi. Insomma… non state rendendo la cosa particolarmente piacevole» ha commentato con un sorriso dovuto. Il reporter, dall’alto della sua empatia, ha risposto «almeno sono riuscito a farti sorridere!».
Documentandomi su Internet per la scrittura di questo pezzo, ho anche scoperto che esistono interventi chirurgici specifici per eliminare la ‘resting bitch face’ (in italiano una “faccia da stronz*”, anche se non rende appieno il significato del termine originale, che allude ad un volto considerato come inespressivo) espressione spesso attribuita all’attrice Kristen Stewart).
Il fenomeno, che ha acquisito popolarità intorno al 2013 ma il cui termine è stato coniato probabilmente almeno dieci anni prima, è stato anche analizzato in uno studio del 2015. Sono stati esaminati i volti delle celebrities più accusate di RBF tramite un software che registrava i volti (neutri), fornendo una percentuale delle emozioni sottostanti captate.
In una lettura “tipica”, il software registrerà un volto neutro al 97%. C’è quindi circa il 3% di espressioni sottostanti, fatte di emozioni che mostrano tracce di tristezza, felicità o rabbia, per esempio. Per le persone con RBF è invece presente una percentuale raddoppiata delle emozioni espresse, che si aggira quindi intorno al 6%, che spiegherebbe questa diversa percezione.
Non tutti sono però d’accordo con la lettura “scientifica” del fenomeno:
La resting bitch face fa parte di una cultura che trasforma costantemente i normali aspetti dell’esistenza delle donne in problemi. Fa parte di una serie infinita di istruzioni che le donne ricevono regolarmente, una serie di regole sempre aggiornate su come vivere e come non farlo. La tua voce si alza quando parli? Dovresti sistemarlo. Usi la parola “scusa” nelle e-mail per attenuare il bagliore freddo e duro della comunicazione elettronica? Anche questo è un problema. La cultura di massa ha opinioni sulla correttezza di ogni aspetto dell’esistenza delle donne, da ciò che indossiamo, mangiamo, a come parliamo. La nostra società patologizza i corpi, le voci e il comportamento delle donne, perché non scegliere anche lo “screensaver facciale” che potremmo avere? La RBF non è una condizione reale, è una combinazione del fatto di essere una donna ed avere una faccia.