Coming out: il privilegio di poter parlare
Di Beatrice Scalella
Nella settimana del ‘Coming out day’ è doveroso precisare e ricordare che le persone appartenenti alle sfumature queer non esistono solamente per educare la maggioranza a rispettarle e, generalmente, non devono dare prova di niente (né alla società né alla comunità LGBTQIA+). Di fatto, il lavoro di diventare maggiormente consapevoli su queste questioni deve essere portato avanti in maniera sempre più autonoma – con un’educazione scolastica e professionale più focalizzata sull’inclusività e la diversità, per esempio -, cercando semplicemente di capire che non si deve presupporre nulla e che la loro esistenza non deve più passare dalla validazione e dall’accettazione della parte alta della catena sociale. Essa va riconosciuta e rispettata in quanto tale. Altrettanto egocentrica e buonista è la retorica del “e se fosse tua madre, tuo nonno, tua zia?” che ricollega – ancora una volta – la propria sfera personale, la propria morale e la propria esperienza a qualcunə che esiste nonostante sé stessə.
Fare qualsiasi tipo di coming out significa specificare che la propria esistenza è diversa dalla normatività in cui si è cresciutə e, se oggi è ancora un atto di rivendicazione e indipendenza molto forte, deve anche essere riconosciuto come privilegio e come atto che presuppone l’ennesimo passo in avanti delle minoranze verso la società. È una decisione molto personale – e che può sicuramente essere vista come atto politico – che presuppone però centinaia di fattori e sfumature da prendere in considerazione per ogni singola persona, per questo è importante capire che il personale – pur essendo politico – fa parte di una sfera che non va giudicata né forzata in alcun modo. Le storie che si leggono e si conoscono possono essere di liberazione, di gioia e condivisione, ma ci sono anche casi di abbandono, violenza, emarginazione ed esclusione familiare e sociale.
Il privilegio di poter parlare di qualsiasi lato queer dipende dall’ambiente e dalla famiglia ma anche dalla classe sociale, dalla propria salute mentale, dal lavoro: c’è chi non ha un ‘safe place’ in cui proteggersi, un ambiente di lavoro inclusivo e risorse economiche a cui attingere nel caso si perda tutto, una comunità pronta ad accogliere o semplicemente la forza di sopportare gli sguardi e i giudizi dei più. Inoltre, il proprio orientamento sessuale si incrocia – per forza di cose – con il genere, l’etnia, la classe sociale, il corpo e la salute mentale. Da queste intersezioni di discriminazione molto spesso ne consegue che le minoranze, per essere maggiormente rispettate e validate, sentono di dover seguire maggiormente la morale e le normatività sociali, nascondendo la propria identità per mostrare che sono proprio come la maggioranza. A tal proposito, considerando l’invisibilizzazione dall’esterno si può parlare di ‘passing’ quando, per l’appunto, una persona passa per quello che non è e, sapendo di poter essere discriminata, preferisce non correggere l’altrə per evitare situazioni spiacevoli.
Chi non ha degli evidenti privilegi, non può permettersi di essere dichiaratamente “queer”: personaggi come Fedez o Achille Lauro, presi spesso come modelli rivoluzionari contro la mascolinità tossica e l’omofobia, restano comunque degli uomini bianchi eterosessuali cis ricchi che possono avere buone intenzioni, ma non sono queer. E mentre da privilegiati si ergono a monumento di una comunità prendendone la cultura, le parole, le lotte senza mai passare davvero il microfono, le persone queer subiscono quotidianamente violenze e discriminazioni ovunque: secondo uno studio del Williams Institute dell’ottobre 2020, le persone LGBT vedono quadruplicata la probabilità di sperimentare violenza rispetto a qualcunə che non lo è (per le donne LGTB si arriva a cinque volte in più).
L’educazione al rispetto delle diversità, allo sradicamento della normalità, alla messa in discussione dei valori tramandati su sesso, genere e relazioni deve iniziare a pesare sulle spalle della maggioranza e di chi ha dei privilegi. Alla decostruzione delle tradizioni ne beneficerebbero tuttə in quanto – in un modo o nell’altro – sono complici di un sistema tramandato di comfort che permette di adeguarsi senza farsi troppe domande. Ma se le persone iniziassero a mettere in dubbio ogni cosa, ci sarebbe ancora una maggioranza così netta?
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