Afghanistan: le restrizioni imposte alle donne dai talebani

Di Elisa Belotti

Tutto il mondo ha rivolto l’attenzione verso l’Afghanistan nel momento in cui Kabul è stata presa dai talebani. Come si sta evolvendo la situazione a più di un mese da quell’evento? E cosa sta accadendo alle donne afghane? Durante la prima conferenza stampa del nuovo governo, il portavoce Zabihullah Mujahid ha parlato della volontà di concedere libertà alle donne nei limiti della legge islamica. Eppure la condizione di chi si identifica e viene identificata con il genere femminile ha iniziato presto a subire delle modifiche.

Il lavoro

Al centro delle ultime notizie c’è la sfera lavorativa. Con la riapertura delle scuole, infatti, sono stati ammessi nel corpo docenti solo gli insegnanti, mentre le loro colleghe sono state invitate a restare a casa fino a nuovo ordine. Questa decisione, comunicata dal sindaco ad interim di Kabul, Molavi Hamdullah Nomani, viene mascherata come strategia per aumentare la sicurezza. Le parole di Nomani, infatti, sono: «Abbiamo chiesto alle donne di rimanere a casa fino a quando la situazione non sarà normalizzata».

Il divieto di accedere ai propri impieghi non riguarda solo le insegnanti, ma tutte le lavoratrici del settore pubblico, ad eccezione di coloro che non sono sostituibili dagli uomini (come le inservienti dei bagni pubblici femminili). Questa scelta politica colpisce molto duramente la situazione socio-economica della capitale afghana. Le dipendenti pubbliche di Kabul, infatti, costituiscono circa un terzo dell’intero settore, di conseguenza le donne che non possono ritornare al lavoro sono numerose e si troveranno presto private della propria indipendenza economica.

L’istruzione

L’ annuncio di Nomani non risulta inaspettato, in realtà, se si considerano le misure precedentemente entrate in vigore. Le scuole medie e superiori non sono più accessibili per le ragazze, ma prevedono la partecipazione ai percorsi didattici unicamente agli studenti. Anche gli ambienti universitari sono stati colpiti: le studentesse possono seguire le lezioni, ma solo in ambienti separati e indossando il velo (si parla di ‘abaya’, un’ampia tunica, e di ‘niqab’, che copre capelli e viso lasciando scoperti gli occhi).

Lo sport

Un altro aspetto della vita delle donne che recentemente ha subito delle trasformazioni è lo sport. Ahmadullah Wasiq, vicecapo della commissione culturale dei talebani, ha spiegato che la pratica sportiva sarà vietata in quanto porrebbe le atlete nella condizione di scoprire il viso o il corpo e perché «non necessaria». Oltre a ciò, partecipare alle competizioni significherebbe far circolare le proprie immagini online anche all’estero, fatto che secondo il nuovo governo talebano è in contrasto con il Corano.

L’ingerenza dei talebani nella sfera sportiva era stata già denunciata nel mese di agosto da Zakia Khudadadi, atleta di taekwondo che si era qualificata per le Paralimpiadi di Tokyo 2020 e temeva di non partecipare ai Giochi. Nonostante il divieto imposto dal governo, era riuscita a denunciare la situazione attraverso i social e a spostarsi all’estero. Grazie al supporto globale, ha poi raggiunto il Giappone e ha gareggiato. Molte, però, sono le atlete rimaste in patria che non possono più accedere agli allenamenti e alle competizioni.

La chiusura del governo talebano sullo sport, inoltre, potrebbe creare dei danni ingenti anche alle discipline maschili e in generale all’economia afghana. Il cricket, infatti, è la disciplina più seguita del Paese e l’International Cricket Council premette di gareggiare solo se è presente anche una squadra nazionale femminile. Inoltre l’Australia, Paese con cui l’Afghanistan dovrebbe confrontarsi nel novembre 2021, ha annunciato che annullerà la partita se i talebani non supporteranno il cricket femminile. Le perdite economiche sarebbero notevoli: si calcolano almeno 40 milioni di dollari in meno, che peserebbero fortemente su un Paese in cui i beni di sussistenza iniziano a mancare e i prezzi si sono alzati.

Timore e resistenza

Le pressioni del nuovo governo pesano su tutte le donne, che al momento hanno il diritto di uscire di casa ma temono la rappresaglia talebana. Nonostante quindi le promesse emerse durante le dichiarazioni pubbliche dei talebani, lo sviluppo dell’Afghanistan sta relegando le donne sempre più ai margini, sottraendo loro libertà individuale e diritti.

Il Ministero degli affari femminili, che nello scorso governo si occupava di migliorare la condizione delle donne e di rendere possibile la loro autodeterminazione, ha recentemente cambiato nome in “Ministero per il rispetto della virtù”. Proprio davanti alla sua sede, a Kabul, un gruppo di donne ha deciso di manifestare, chiedendo di partecipare nuovamente alla vita pubblica. Alcune di queste proteste si concludono in fretta perché minacciate dalle rappresaglie, altre finiscono con il pestaggio delle persone presenti.

Le donne afghane hanno iniziato anche una campagna online per opporsi alle nuove misure, in particolare a quelle relative all’abbigliamento. Attraverso gli hashtag #DoNotTouchMyClothes e #AfghanistanCulture vengono postate le fotografie di vestiti dai colori sgargianti che non rispecchiano il dress code talebano ma si inseriscono nella tradizione locale. L’iniziativa è stata ideata da Bahar Jalali, fino a poco tempo fa insegnante di storia all’American University di Kabul. Lo scopo, oltre a sottolineare la libertà di scegliere come vestirsi, è quello di porre in contrapposizione la cultura del proprio Paese con l’interpretazione del nuovo governo. «Voglio informare il mondo che gli abiti che vedete nei media» spiega Jalali, «non sono la nostra cultura, non sono la nostra identità». Al suo appello hanno risposto donne di origini afghane che vivono in tutto il mondo, sottolineando come il rispetto della loro cultura non implica alcuna costrizione o dress code.

Nonostante quindi la situazione per tutte le persone che si identificano e che vengono identificate con il genere femminile stia diventando sempre più difficile, sono sorte delle forme di resistenza interne al Paese, che lottano per l’affermazione dei propri diritti e attirano l’attenzione della comunità internazionale.