Sessualità, salute e adolescenti
Una chiacchierata con Nicoletta Landi.
Di Livia Motterle
Ho conosciuto Nicoletta molti anni fa, a Bologna. Tutte e due studiavamo all’università, io filosofia e lei antropologia. Di Nicoletta mi ha sempre colpito la sua determinazione e il suo coraggio nell’intraprendere percorsi inesplorati. Dopo essersi brillantemente laureata con una tesi sul BDSM (Bondage, Disciplina, Sado-masochismo) e aver conseguito un dottorato di ricerca in antropologia specializzandosi in sessualità, genere e salute, Nicoletta si è formata in sessuologia al CIS, Centro Italiano di Sessuologia di Bologna. Attualmente lavora come educatrice e formatrice nei temi della promozione della salute e del benessere affettivo-relazione prevalentemente per adolescenti, collaborando con i servizi pubblici dell’Azienda USL di Bologna e in particolare con un Consultorio familiare per adolescenti chiamato “Spazio Giovani”. Spinta dalla curiosità di capire come Nicoletta intreccia la sua passione per l’antropologia con l’arte dell’educazione, e soprattutto, spinta del desiderio di sapere quali sono le questioni riguardanti la sessualità che più preoccupano i giovani, qualche giorno fa l’ho intervistata.
Dalla tua formazione accademica fino al tuo attuale lavoro, possiamo dire che la sessualità è stata un po’ un filo conduttore.
Certo. Ho iniziato a interessarmi di corpi e sessualità per la tesi specialistica (che ora si chiama magistrale) con la ricerca sul BDSM e lì c’è stato un po’ il colpo di fulmine per gli argomenti dell’antropologia del corpo e della sessualità. Poi ho continuato ad approfondire questi temi non solo in ambito antropologico perché ho pensato: “tutte queste competenze antropologiche legate a corpi, identità, genere, come posso metterle in pratica al di là dello studio accademico?” E quindi ho cominciato ad occuparmi di adolescenza ed educazione, realizzando incontri di formazione per adolescenti. Successivamente ho vinto una borsa dottorale nell’ambito della filosofia della scienza dove ho potuto approfondire in forma più strutturata i temi della sessuologia e della educazione alla sessualità per adolescenti e ho cominciato a fare ricerca-azione all’interno di servizi per adolescenti di Bologna. E poi piano piano questa collaborazione è diventata di tipo professionale, più come operatrice che come ricercatrice, sempre precaria, ovviamente, come succede spesso in Italia.
Ci puoi parlare del tuo libro Il piacere non è nel programma di scienze! Educare alla sessualità oggi in Italia?
È una elaborazione della tesi di dottorato, pubblicato nel 2017. Si tratta di un racconto etnografico della mia ricerca dottorale avvenuta, appunto, presso lo “Spazio Giovani” dell’Azienda USL di Bologna tra il 2013 e il 2015. Ho effettuato uno studio comparativo tra Italia e Paesi Bassi per comprendere come funziona e non funziona la promozione del benessere sessuale e affettivo per adolescenti in Italia.
Che cosa evidenzia la ricerca di cui parli nel tuo libro?
La ricerca evidenzia che in uno scenario macro italiano non esiste una concezione e una gestione omogenea dell’educazione alla sessualità a livello nazionale. Non esiste una legislazione, non esistono finanziamenti strutturati, non esiste un approccio educativo e politico unitario. In questo senso però l’Emilia Romagna emerge come un contesto virtuoso laddove esistono vari progetti di promozione della salute sessuale e affettiva che non hanno solo una matrice sanitaria, ma hanno una spinta bio-psico-sociale, che considerano la sessualità come una parte fondamentale della vita anche degli adolescenti e promuovono una visione olistica e propositiva della sessualità.
Che cosa chiedono questi e queste adolescenti? Quali sono i loro dubbi? Di cosa hanno più bisogno?
Dipende molto dall’età. Una persona di 13 anni ha bisogni e desideri differenti da una persona di 17 o 18 anni. In generale, quello che più chiedono è essere riconosciuti, riconosciuti come persone dotate di una voce. Per quanto riguarda gli argomenti, i e le pre-adolescenti hanno molte domande sul cambiamento del corpo, sullo sviluppo, sul piacere, sul primo bacio, sulla prima volta, sui conflitti con la famiglia. I ragazzi e le ragazze tra 15 e 18 anni fanno invece più domande sulla contraccezione, contrazione di infezioni sessuali, ovvero questioni legate più strettamente alle relazioni sessuali. Ma vogliono approfondire anche questioni legate all’innamoramento, alla violenza, alla coppia, all’orientamento sessuale… insomma, chiedono di tutto!
Rispetto alle prime volte, che cosa li preoccupa?
Le ragazze, specialmente, fanno domande sulla verginità e sulla paura del dolore. Questo ci fa pensare quanto siamo condizionate dal patriarcato. Dire loro che la verginità non è solo associata alla sfera femminile e non è solo legata al sesso penetrativo, ma al sesso erotico e affettivo con un’altra persona, fa sì che ciascuno di loro possa concepire la sessualità come qualcosa da inventarsi. Soprattutto con le ragazze c’è ancora moltissimo da lavorare sul proprio piacere perché siano considerate come soggetto di piacere e desiderio e non oggetto. Lo stigma della “puttana” esiste ancora, purtroppo.
Adottando una visione di genere, possiamo incontrare differenze nell’approccio alla sessualità tra le ragazze e i ragazzi?
Sicuramente gli stereotipi di genere influiscono sul modo in cui i ragazzi, le ragazze e le persone non binarie adolescenti vivono la sessualità. I ragazzi si confrontano ancora con un tipo di mascolinità tossica, di virilismo, di omofobia. Le ragazze invece con un sessismo che le vorrebbe con una sessualità che deve contenerci continuamente. Le offese più diffuse sono “puttana” per le ragazze e “frocio” per i ragazzi quando non rispettano un modello di genere che vuole il maschio eterosessuale, virile e intraprendente e la ragazza non troppo appariscente e seduttiva. Per le ragazze credo che il femminismo abbia fatto molto e delle cose le hanno imparate. Mentre per i ragazzi è più difficile. Credo che si debba lavorare ancora molto sulla maschilità.
Come influisce la morale cattolica nell’educazione sessuale degli adolescenti?
Personalmente credo che l’Italia sia un paese complesso da un punto di visto educativo e politico e non solo da un punto di vista religioso. E non possiamo dire che l’Italia sia cattolica perché oggi come oggi è un paese multireligioso. Tra gli adolescenti ci sono una spesso una profonda omofobia e sessismo e tra gli adulti esiste ancora la difficoltà a considerare gli adolescenti come soggetti attivi e in grado di autodeterminarsi. Però non credo sia una questione strettamente religiosa, è una questione politica e bio-etica.
Cosa ti piace di più del tuo lavoro?
Il contatto con i ragazzi e con le ragazze. E anche il confronto tra adulti: con le colleghe (psicologhe, ostetriche, ginecologhe) e con i genitori. Trovo molto interessante far parte di un gruppo di specialiste di diversi ambiti dove ognuna apporta il suo contributo.
E ora con la pandemia? Come cambia la sessualità dei e delle adolescenti?
Beh, c’è da dire che la maggior parte dei ragazzi e delle ragazze che incontro non ha ancora avuto rapporti sessuali, quindi loro raccontano molto la mancanza del corpo in generale, di un corpo che fa sport, di un corpo che esce con gli amici, oltre a un corpo che fa sesso. Si sentono appesantiti da questa situazione. C’è una sofferenza da entrambi i lati, anche per noi educatrici, perché si perde quella dimensione elettrica e vibrante che si crea nelle aule e che ora è ridotta a una relazione bidimensionale nello schermo.