Le principali obiezioni contro il DDL Zan
La risposta di una persona cattolica e femminista
Di Elisa Belotti
Questo è un articolo che unisce il lato personale con quello pubblico. Rendo infatti esplicita la mia posizione di persona cattolica e femminista e, come tale, rispondo ad alcune obiezioni mosse contro il DDL Zan tramite argomentazioni valide. Parto da queste premesse perché il 30 marzo 2021 l’Associazione Family Day ha scritto un appello per fermare la discussione attorno al disegno di legge. È un tipo di opposizione che ciclicamente si impone nel dibattito pubblico, ma che mi ha colpita per via del sottotitolo: «no a ddl Zan giudicato inutile e liberticida da cattolici, femministe e liberali».
Io però, da cattolica e femminista – i liberali, nel vero senso della parola, in questo Paese sono scomparsi da molto tempo –, non sono affatto d’accordo. Non solo me ne dissocio, senza per questo essere meno cattolica o meno femminista, ma vedo anche quanto siano labili e fuorvianti le argomentazioni riportate. Ho deciso quindi di analizzare questo comunicato punto per punto, mostrandone i lati critici e le falsità riportate, e rispondere così alle obiezioni più frequenti rivolte al DDL Zan.
L’appello prende il via dicendo che «La Conferenza episcopale italiana si è pronunciata lo scorso 10 giugno con una nota che spiega che non esiste alcun vuoto normativo» in relazione al mancato riconoscimento di una specificità per le discriminazioni basate sul sesso, il genere, l’identità di genere, l’orientamento sessuale e la disabilità (i temi toccati dal DDL Zan). Questa è un’informazione falsa. Se leggiamo il testo del disegno di legge, infatti, notiamo che si apre sottolineando la necessità di inserire nell’articolo 604 bis del codice penale (relativo alla discriminazione razziale, etnica e religiosa) anche i criteri sopracitati proprio perché fino a ora assenti. Un vuoto normativo, dunque, è presente.
A sostegno della propria tesi il Family Day sostiene inoltre che in passato ci sono state delle sentenze severe contro «persone che si sono rese protagoniste di atti contro persone omosessuali», quindi il DDL non porterebbe nulla di nuovo. È bene distinguere però tra i singoli casi e un intervento come quello del DDL Zan che agisce a livello sistemico. Non bastano alcune sentenze isolate per considerare la questione risolta o risolvibile con gli strumenti legislativi che abbiamo. Inoltre la proposta di legge non riguarda solo l’omofobia (avversione verso le persone omosessuali), ma anche la bitransfobia, la misoginia e l’abilismo (ostilità rispettivamente verso le persone bisessuali, transessuali, che si identificano nel genere femminile e disabili).
Il timore di chi ha redatto questo appello è che il DDL porti «a derive liberticide e si finirebbe col colpire l’espressione di una legittima opinione». Per smentire questa preoccupazione basta, ancora una volta, leggere il disegno di legge. Nell’articolo 4 è scritto infatti: «Ai fini della presente legge, sono fatte salve la libera espressione di convincimenti od opinioni nonché le condotte legittime riconducibili al pluralismo delle idee o alla libertà delle scelte, purché non idonee a determinare il concreto pericolo del compimento di atti discriminatori o violenti». Ciò significa che si è liberi di pensare ed esprimersi come si preferisce sui temi in questione, purché le nostre azioni non si trasformino in discriminazione o violenza basate su genere, identità, orientamento sessuale e disabilità. È una misura per tutelare le persone che hanno meno privilegi e ridurre l’odio nei loro confronti.
Si sostiene poi che in altri Stati, con provvedimenti simili al DDL Zan, sia avvenuta una soppressione della libertà individuale. Questa affermazione non è supportata da dati in suo favore. Delle informazioni che la smentiscono, invece, provengono dall’ILGA Europe, che ogni anno realizza la Rainbow Map, cioè una cartina che riflette la situazione politica e legale relativa alla comunità LGBTQ+ di ogni stato dell’Unione. Oltre a notare che l’Italia si colloca abbastanza in basso, tra le Nazioni che garantiscono meno diritti, si comprende subito che gli Stati che ne offrono di più sono quelli in cui le libertà individuali sono tutelate con maggior forza. Di conseguenza è falso sostenere che «Se dovesse passare il ddl Zan potremmo quindi diventare “omofobi per legge”» a seguito di alcune affermazioni. Il semplice atto di sostenere una tesi non comporta alcuna accusa, a meno che questo non sfoci in diffamazione, discriminazione o violenza.
Diventerebbe proibito, secondo il comunicato, sostenere ad esempio «che tutti i bambini hanno diritto ad un padre e una madre, che i trans non sono donne e che l’utero in affitto è una barbarie e chi alimenta questo mercato un criminale». Il DDL però non intende rendere le persone favorevoli alle famiglie omogenitoriali, alla gestazione per altri (non «l’utero in affitto» come si legge) o alla possibilità per le persone trans (non «i trans» come si legge) di vedersi riconosciute come facenti parte del genere in cui si identificano. Il disegno di legge ha il solo scopo di tutelare alcune categorie marginalizzate, in modo che non siano vittime di discriminazioni o violenza. Non incide né sulla regolamentazione dei nuclei famigliari né sul percorso di transizione delle persone trans.
L’appello del Family Day richiama anche «alcuni noti scrittori progressisti anglosassoni» che sarebbero stati messi a tacere per essersi espressi contro alcune delle situazioni appena viste. Oltre al fatto che hanno avuto piena libertà di espressione e che non sono stati chiamati davanti a nessun giudice, tali scrittori – prima tra tutti J.K. Rowling – non sono di certo progressisti. È importante specificare che sì, ci sono alcune femministe contrarie alla gestazione per altri e a ritenere le donne trans tali (elementi comunque al di fuori del DDL Zan). Il femminismo, però, è composto da numerose correnti, a volte anche in contraddizione tra loro, quindi eleggere questa tipologia a nome dell’intero movimento è fuorviante ed errato.
Giungiamo ora a un punto cruciale del dibattito sul DDL Zan e, in generale, sui diritti. Si legge che il disegno di legge sarebbe iniquo perché «divide la società in categorie con tutele a velocità differenziata, creando soggetti iper-tutelati in base alle loro scelte sessuali». Non è così: il DDL propone di estendere tutela e diritti a persone che, per ragioni che vanno oltre la scelta, si ritrovano con minori privilegi. Aumentare i diritti delle categorie marginalizzate non li toglie, però, a chi si ritrova già in una posizione riparata da discriminazioni e violenza – anche in questo caso per motivazioni che non dipendono da una decisione personale.
Continuando nella lettura si legge che il DDL «è inoltre ideologico, come affermano le femministe, perché menziona una controversa identità di genere slegata dal sesso biologico […] una legge che si basa su teorie che non hanno basi scientifiche». Anche questa è un’affermazione falsa. Innanzitutto non c’è alcuna controversia tra identità di genere e sesso biologico, che sono nei fatti due cose diverse. Inoltre tutto ciò si basa proprio sugli studi di genere, che cercano di comprendere come il genere sia un costrutto sociale. Il fatto che in Italia siano poco diffusi e che alcune persone non diano loro credito non li rende meno validi di altri ambiti della ricerca scientifica.
Nell’ultimo paragrafo, invece, si esprime timore verso la possibilità che questo DDL introduca «forme di indottrinamento nelle scuole di ogni ordine e grado delegate ad associazioni lgbt, senza alcun contraddittorio o voce plurale sui temi sensibili della sessualità». Sempre leggendo il testo del disegno di legge, però, si nota che non c’è alcun riferimento all’educazione sessuale. Nell’articolo 8, infatti, si parla di prevenzione e contrasto delle discriminazioni legate all’orientamento sessuale e all’identità di genere. Non un indottrinamento, quindi, ma un’educazione al rispetto reciproco.
Infine, visto che il comunicato del Family Day si chiude facendo appello alle «donne e gli uomini liberi della nostra nazione a far sentire chiara e forte la loro voce in difesa della libertà», anche io mi espongo in questo senso. Quando si fa parte di una o più comunità, che vengono citate a sostegno di una tesi con cui non ci si trova d’accordo e quando si hanno delle basi per rispondere, lo si può fare. Il motto delle femministe degli anni ’70, «il personale è politico», è sempre valido: una presa di posizione basata sull’esperienza personale ma argomentata e informata è incisiva. Quando poi le prese di posizione si sommano, l’impatto è ancora più forte.
L’estensione dei diritti e il miglioramento della qualità della vita delle categorie marginalizzate porta vantaggi a tutti. Essere ciechi davanti alle argomentazioni sopra riportate e opporsi al DDL Zan su basi false, invece, diffonde solo la disinformazione e fomenta l’odio. Visto che il Family Day ha chiamato in causa i cattolici, concludo ricordando che il comandamento principale su cui si basa la nostra fede è l’amore verso il prossimo, amore che non può passare dalla discriminazione.