L’evento: l’aborto clandestino in Italia e nel mondo
Di Elisa Belotti
Una precisazione: in questo articolo si parla di aborto inteso come IVG (interruzione volontaria di gravidanza), non come aborto spontaneo, indotto o di altro tipo. E a partire dal libro L’evento di Annie Ernaux, cerchiamo di capire qual è la situazione dell’IVG in Italia e nel mondo.
«Può darsi che un racconto come questo provochi irritazione, o repulsione, che sia tacciato di cattivo gusto. Aver vissuto una cosa, qualsiasi cosa, conferisce il diritto inalienabile di scriverla. Non ci sono verità inferiori. E se non andassi fino in fondo nel riferire questa esperienza contribuirei a oscurare la realtà delle donne, schierandomi dalla parte della dominazione maschile del mondo».
Queste righe sono tratte da L’evento, il libro pubblicato da Annie Ernaux nel 2001 (in Italia nel 2019 da L’orma editore). La vicenda, ambientata in Francia tra il 1963 e il 1964, è autobiografica. Ernaux racconta un avvenimento cardine della sua vita, cioè l’aborto clandestino affrontato all’età di 24 anni. L’autrice, ormai diventata una figura di spicco per la letteratura contemporanea, ha ridisegnato i confini del genere autobiografico: ogni suo libro parla di sé ma, attraverso la propria storia, racconta anche quella della società e delle donne che hanno vissuto le medesime esperienze. La voce narrante, dopo aver realizzato di essere incinta, si è sentita isolata dagli altri personaggi che non condividono la gravidanza e il peso di cercare un’alternativa. «C’erano le altre ragazze, con i loro ventri vuoti, e c’ero io» scrive Ernaux. E così si rivolge a una «fabbricante d’angeli», la sua unica possibilità, che le pratica un aborto clandestino, pericoloso e traumatico.
Con una scrittura schietta e talvolta asettica, Ernaux racconta questa esperienza con un intento ben preciso: non lasciare che la vergogna, la paura, il dolore e il senso di liberazione finale provati da lei e da tante altre donne siano dimenticati. «Che la clandestinità in cui ho vissuto quest’esperienza dell’aborto appartenga al passato non mi sembra un motivo valido per lasciarla sepolta. Tanto più che il paradosso di una legge giusta è quasi sempre quello di obbligare a tacere le vittime di un tempo, con la scusa che “le cose sono cambiate”».
Parlare dell’aborto clandestino di Ernaux, quindi, significa raccontare la storia delle tante donne che non hanno avuto e tuttora non hanno altra scelta, per porre fine a una gravidanza, che l’illegalità.
Nel 1963-64 in Francia l’aborto non era consentito. E in Italia? Nel nostro Paese questo diritto è stato introdotto nel 1978 con la legge 194. Fino a quel momento interrompere una gravidanza era considerato un reato penale. Stando all’ultima edizione dell’Atlante delle donne di Joni Seager (pubblicato in Italia da ADD con la traduzione di Florencia Di Stefano-Abichain), nel mondo il diritto di aborto può essere:
- illegale ad eccezione dei casi in cui è in serio pericolo la vita della donna (es. Irlanda);
- illegale ad eccezione del caso precedente e se il feto è compromesso (es. Colombia);
- legale solo per ragioni sociali ed economiche (es. Inghilterra);
- legale su richiesta, secondo quindi la volontà della donna, con dei limiti legati alle settimane di gestazione (es. Italia).
In alcuni paesi è inoltre necessario il consenso del marito per procedere con l’IVG (es. Qatar, Indonesia, Marocco, UAE).
Inoltre, stando ai dati del 2010-14 (i più aggiornati) sono più le donne sposate ad abortire, il 36‰ a livello globale e il 38‰ in Europa, rispetto alle donne non sposate, il 25‰ nel mondo e il 16‰ nel vecchio continente. Sempre attingendo dall’Atlante, sappiamo che nel mondo sono circa 25 milioni le donne ad aver avuto un aborto clandestino (cioè il 45% del totale) e sono sempre meno i luoghi in cui l’IVG è sicura e la contraccezione accessibile. Nel sud dell’Europa, in cui è naturalmente inclusa l’Italia, il 9% delle donne è costretto a scegliere l’aborto clandestino. Dal 2010 al 2014 il 37‰ degli aborti (regolari e clandestini) è avvenuto nei Paesi in cui l’IVG è proibita o concessa solo in caso di pericolo di vita per la donna. Il 34‰ in quelli in cui è consentita. Cosa significano questi dati? Ci mostrano che limitare o rendere inaccessibile l’aborto non fa altro che spingere le donne verso l’illegalità e, di conseguenza, una pratica rischiosa per la loro salute.
A questo punto potrebbe sorgere una domanda: perché si ricorre all’aborto clandestino anche in paesi in cui l’IVG è formalmente consentita, come l’Italia? Le motivazioni sono varie, a partire dalle numerose misure politiche e culturali rivolte al controllo del corpo femminile. Una carente educazione sessuale, un uso scarso della contraccezione e una disinformazione dilagante – per cui si confondono anche concetti fondamentali come il fatto che la cosiddetta pillola del giorno dopo non sia abortiva ma contraccettiva –. A ciò si aggiunge l’alone di vergogna e senso di colpa che circonda la sessualità femminile, un tema di cui si tende a non parlare. Ci sono poi alcune categorie maggiormente a rischio: le ragazze minorenni prive del consenso genitoriale o di chi ne ha la tutela, le donne da poco immigrate in Italia, le clandestine e chi pratica la prostituzione non per libera scelta. Infine vanno considerati il folto gruppo di obiettori di coscienza e il basso numero degli ospedali in cui si praticano gli aborti in intere zone d’Italia. Stando ai dati del Ministero della Salute, in Molise, ad esempio, il 96,9% dei ginecologi è obiettore di coscienza e, in questa regione, solo una struttura ospedaliera, dotata del reparto di ostetricia, ha attivo il servizio di IVG. In Basilicata la percentuale passa all’88,1% e nella provincia di Bolzano all’84,4%, a dimostrazione che questa scarsa accessibilità non riguarda solo il Sud Italia. Ricordiamo inoltre che l’obiezione di coscienza non è prevista in tutti gli Stati a livello globale.
Sfatiamo un altro mito: rendere l’aborto accessibile non porta a un aumento delle IVG praticate, ma solo a una loro realizzazione in sicurezza. Questo è dimostrato sempre dai dati messi a disposizione dal Ministero della Salute nel 2016 (i più aggiornati), che riportano una curva calante di aborti richiesti ed effettuati rispetto al boom dei primi anni ’80. Osservando il grafico, infatti, si nota «una riduzione dell’1,4% rispetto al 2015 e un decremento del 52,0% rispetto al 1982».
L’unico esito, quindi, di un accesso più difficile all’IVG è il ricorso agli aborti clandestini. Ernaux racconta di essere andata da una mammana, che le ha inserito una sonda nell’utero e l’ha lasciata a se stessa durante l’espulsione del feto. Per quanto questa esperienza ci possa sembrare lontana nel tempo, oggi in Italia (e in altri Stati occidentali) le interruzioni clandestine di gravidanza persistono. Ci sono medici che le praticano al di fuori degli ospedali, in strutture illegali, e a ciò si aggiunge il commercio online di farmaci che servono per la cura dell’ulcera ma, se presi in dosi eccessive, provocano un aborto.
Le conseguenze di un’IVG in contesti non sicuri sono gravi a livello di salute sia fisica – dalle infezioni alla morte – sia mentale. In un momento storico in cui ai traguardi dell’Argentina fanno subito seguito le nuove norme polacche, che limitano fortemente questo servizio, se si è a favore della vita (dei feti) forse bisognerebbe rivolgere l’attenzione verso altri nodi cruciali: operare a livello sistemico affinché gli asili nidi e i servizi di cura siano più accessibili, il gender gap salariale colmato, il congedo parentale esteso anche al padre, oltre a una minore discriminazione delle donne che lavorano fuori casa e una considerazione più consapevole delle mansioni svolte all’interno dell’abitazione, auspicabilmente ripartite in modo equo tra i vari generi. A ciò si somma una diversa narrazione della maternità.
In conclusione, quando si parla di salvaguardia della vita, va considerata anche quella delle donne perché, come recita un cartello sollevato in Argentina durante le manifestazioni per il diritto all’IVG, “l’aborto clandestino è un femminicidio di stato”.
/