Maratona femminista: l’attivismo attraverso i social

Di Elisa Belotti

Cinque panel, ventitré ospiti, tutto in live streaming contemporaneamente su Facebook e YouTube per dieci ore. È stata di questa portata Maratona femminista, l’evento organizzato per sabato 19 dicembre da Irene Facheris, conosciuta sui social come @cimdrp, formatrice e attivista. I dibattiti, in cui si è discusso di femminismo e delle modalità con cui affrontarlo e parlarne, sono stati salvati e quindi possono essere rivisti e riascoltati. La Maratona nasce da Palinsesto femminista, un insieme di live Instagram e un vero e proprio podcast, nato durante il primo lockdown, che ha creato una rete di persone attive sui social per la divulgazione. 

Questo evento molto denso, infatti, è un ottimo esempio di come sui social si siano creati degli spazi in cui educare ed educarsi, dibattere e avere un confronto con persone che hanno opinioni simili o diverse. Il primo panel era dedicato proprio agli Strumenti. Come usare internet per parlare di femminismo? Quali considerazioni fare prima di buttarsi in questa impresa? Vari ospiti hanno raccontato come ci si comporta e organizza da una parte e dall’altra degli account di attivismo. Al dibattito hanno partecipato Mara Mibelli e Chiara Meloni (Chiaralascura) di Belledifaccia, che si occupano di fat acceptance, Adrian Fartade, divulgatore scientifico, Benedetta Lo Zito (@vitadibi_), fondatrice di Suns e attivista per contrastare la cultura dello stupro, Mc Nill, attivista e rapper, e Carlotta Vagnoli, autrice e attivista. Hanno raccontato degli ostacoli che incontrano quotidianamente durante la loro divulgazione online e delle strategie messe in atto per tutelarsi dall’hate speech, mantenendo un dialogo vivo con il pubblico. Hanno poi discusso della necessità di fare rete e condividere problemi e tematiche con altre persone che usano i social a fini informativi. Si è trattato della difficoltà e della ricchezza di coniugare la sfera personale con quella pubblica, e dell’importanza di catalizzare la rabbia verso le ingiustizie in un modo che sia utile a molti.

Dopo queste riflessioni, è seguito un dibattito sulla Responsabilità degli uomini che parlano (e non) di femminismo. Attilio Palmieri, critico cinematografico e televisivo, si è posto alcune grandi domande: Quali sono i privilegi di un uomo, soprattutto se etero, bianco e cis? Come può rendersene conto? Ha affrontato l’importanza di parlare del privilegio, inteso come la possibilità di non doversi preoccupare di una serie di problemi, e di come chi è in questa posizione possa dare spazio alle categorie marginalizzate. Che cosa significa invece essere un uomo trans? Lo ha raccontato Eytan Ulisse Ballerini, attivista trans e divulgatore, a partire dalla sua esperienza personale: «In un mondo che ci dice che noi non dobbiamo in nessun modo esistere, la nostra presenza fa in modo che si crei una crepa nel binarismo». E questo si realizza anche attraverso i corpi non conformi delle persone trans. Come ci si rivolge poi agli uomini per parlare loro dei privilegi di cui godono? Alcune proposte sono venute da Lorenzo Gasparrini, filosofo femminista e autore di libri come Perché il femminismo serve anche agli uomini, in cui divulga temi intersezionali. Inoltre, la necessità di una comunicazione non asimmetrica, della presa di consapevolezza di chi si è e di chi si vuole essere è stata affrontata da Andrea Colamedici di Tlon, filosofo ed editore: «[se sei uomo] devi accettare che hai partecipato a una gara falsata, devi accettare che non c’è nessuna gara […] Devi imparare a far sì che tutti gli altri abbiano una buona prospettiva con cui parlare».

La Maratona prosegue con il panel Sguardo, sull’importanza di una prospettiva femminista nella vita e nei media. Che cosa succede quando nella realtà e nella rappresentazione vengono tralasciati alcuni punti di vista? Ne ha parlato Sofia Righetti, attivista e content creator, facendo riferimento all’intersezionalità. È fondamentale considerare, nella pratica femminista quotidiana, il contrasto delle discriminazioni multiple: disabilità, corpi non conformi, pelle non bianca, etc. Ciò significa considerare prospettive diverse, perché le discriminazioni sono interconnesse e vanno quindi considerate in rete. La rilevanza della rappresentazione mediale è stata poi trattata da Eugenia Fattori, attivista, podcaster e divulgatrice. Lei sostiene che lo sguardo di chi possiede gli spazi della comunicazione viene percepito come neutro, ma non esiste uno sguardo neutro. Ogni rappresentazione è filtrata da un punto di vista ed è uno strumento politico. «Con un’uniformità di rappresentazione il mondo che noi esperiamo è molto raramente un mondo in cui noi persone marginalizzate siamo dentro». Marina Pierri, critica televisiva e scrittrice, ha proseguito il discorso con un’analisi dei prodotti di intrattenimento. «Se noi andiamo a guardare qualsiasi statistica che riguardi gli Stati Uniti, quando si parla di genere, […] abbiamo un 70% di uomini maschi, bianchi, temporaneamente non disabili, che occupano la parte apicale della piramide e le donne occupano un 30%». Quando poi si indagano i prodotti in cui compaiono altre categorie marginalizzate questi numeri non salgono al di sopra del 10%. Pierri si schiera inoltre contro la cosiddetta “dittatura del politically correct”, ricordando come questa idea sia frutto degli algoritmi e della bolla digitale in cui ogni persona si trova. Sempre a proposito di serie TV e rappresentazione, Sumaya Abdel Qader, scrittrice, sociologa e politica, è stata anche consulente per la quarta stagione di SKAM Italia, prima serie italiana ad avere come protagonista una ragazza musulmana. Con lei si è parlato della rappresentazione delle persone musulmane, spesso stereotipata e semplificata. Qader ha sottolineato l’importanza di ascoltare la voce di chi passa da essere oggetto di cui si parla a soggetto che osserva il mondo e lo racconta. Infine Marina Cuollo, scrittrice, comica e content creator, ha parlato della comicità e del suo legame con il femminismo. Come far ridere con consapevolezza e sensibilità verso tutte le persone? Raccontando non un’unica storia, ma più storie e più sguardi.

Il panel successivo ha come titolo Generazioni, perché parlare di femminismo a vent’anni e a quaranta non è la stessa cosa, ma si può imparare molto dal confronto con chi ha un’età diversa dalla propria. «La relazione con le generazioni precedenti è fondamentale per capire come relazionarsi con quelle dopo» ha sostenuto Rachele Agostini, attivista e divulgatrice social. Mentre Jacklin Faye, attivista e blogger, ha aggiunto che «Il femminismo funzionale è quello che ti porta a scavarti dentro, a farti delle domande e a mettere in discussione quello che hai sempre visto». Dalle femministe millennial è emersa l’idea che il confronto generazionale permette di seguire un percorso con più consapevolezza ed essere ben in contatto con il mondo di oggi. La scrittrice Giulia Blasi, invece, ha sostenuto che dalle generazioni successive ha appreso l’intersezionalità e l’attenzione verso il linguaggio. «Il femminismo si fa ogni volta che nasce una ragazza» ha detto, sottolineando l’importanza di tessere relazioni tra chi ha un’età diversa. Vera Gheno, sociolinguistica, traduttrice e conduttrice radiofonica, ha inoltre parlato della comunanza che la lega alle generazioni successive, perché più attente all’inclusione e maggiormente in grado di gestire la complessità del mondo di oggi.

Gli ultimi interventi si sono riuniti sotto la parola-chiave Persone, per ricordarsi e ricordare che le discriminazioni non sono legate solo al genere. Qual è il legame tra il femminismo e la convinzione che ogni essere umano meriti rispetto? Che cosa può fare il femminismo per tutte le altre persone? A questo proposito Bellamy (@darkchocolatecreature), attivista e cofondatrice di AfroitalianSouls, ha parlato dei gesti quotidiani che attuano una deumanizzazione verso le persone non bianche. Si tratta di bias derivanti dal colonialismo e propri del razzismo sistemico, cui è importante prestare attenzione per ridurre ed eliminare le discriminazioni. È intervenuta poi Cecilia Strada, autrice e fondatrice di Mediterranea, che si occupa di salvataggio e contrasto del traffico di esseri umani in mare. Ha quindi spiegato che i migranti e i rifugiati spesso non vengono considerati come individui e ha parlato del complesso del white saviour, cioè dell’atteggiamento per cui alcune persone bianche vedono quelle nere come vittime in attesa del loro intervento. Di sfruttamento sul lavoro ha poi ragionato Biancamaria Furci (@farewell_bi), attivista e caporedattrice di Bossy.it. L’ha fatto riferendosi a esperienze concrete e quotidiane, come il caporalato nella filiera alimentare e il mondo dei riders. Che relazione c’è, inoltre, tra sfruttamento e smart working? E come considerare in questo discorso le morti sul lavoro? Sono tutti temi da lei affrontati per un’analisi del sistema produttivo in cui siamo inseriti. Infine, Maura Gancitano, filosofa e fondatrice di Tlon, ha riunito tutti i frammenti del discorso, sostenendo che queste problematiche dipendono anche dal sistema socioeconomico in cui viviamo e ribadendo il loro stretto legame con il femminismo. Il punto cruciale, secondo Gancitano, per fare dei passi in avanti è smettere di vedere i corpi come oggetti, fare attenzione al linguaggio ed essere intersezionali. La prospettiva che delinea moltiplica gli spazi e le voci da ascoltare.

Dopo mesi di Palinsesto femminista, questa Maratona è stata un’ulteriore conferma del fatto che anche sui social l’attivismo e la divulgazione possono trovare spazio. Un ottimo modo per concludere questo breve excursus – e invitare a recuperare gli interventi sui canali Facebook e YouTube di Irene Facheris – è attraverso le parole di Maura Gancitano, che ha chiuso l’evento: «Quello che mi sembra sia avvenuto oggi è proprio il tentativo di fare un discorso corale e un discorso complesso, una cosa che sui social è molto difficile da fare, perché sui social siamo individui […] e quindi cerchiamo di alimentare, anche inconsapevolmente i nostri profili personali e […] è come se rimanessimo chiusi dentro le scatole dei nostri profili». Con Maratona femminista, invece, una rete informativa ha assunto consistenza, un folto gruppo di persone ha aperto i confini del proprio lavoro online per affermare a gran voce che c’è ancora tanto lavoro da fare, ma che uno spazio di dialogo è stato costruito e che si può partire proprio da lì.