ALLA VIOLENZA DICIAMO NO! Incontro con il Coordinamento Donne Fisac – Cgil Vicenza
NO!
Intervento di Rachele Berto, Responsabile Del Coordinamento Donne Fisac – Cgil Vicenza
Le donne vittime di femminicidio da Gennaio a Ottobre 2020, in Italia, sono 55.
Si tratta di donne uccise perché donne, donne uccise in nome di una ideologia patriarcale che le vuole mantenere subordinate all’uomo, annientandone l’identità attraverso l’assoggettamento fisico o psicologico.
Si tratta di donne spesso uccise da una persona che conoscevano: il marito, il compagno, il parente, l’ex partner o il corteggiatore respinto.
Si tratta di donne uccise perché volevano sottrarsi a delle relazioni basate sul possesso, perché non volevano più rimanere in uno schema che rispettasse i ruoli di genere che ci vengono inculcati fin da quando si è piccole e piccoli; sono donne che hanno mostrato una propria volontà e che sono state uccise perché hanno fatto un affronto alla mascolinità di un uomo, che poi è diventato killer.
Sono motivazioni decisamente molto diverse da quelle che purtroppo si leggono su tanti articoli di giornale e tanti servizi dei telegiornali in televisione, quando il femminicidio viene semplicemente definito come “omicidio passionale”, “amore criminale”, “gesto folle” o “raptus incontrollato”.
E il periodo di lockdown vissuto questa primavera a causa della pandemia da Covid-19 ha ulteriormente accresciuto questi numeri: sul totale degli omicidi, è spaventosamente alta la percentuale di donne uccise tra le mura domestiche, il 75,9%.
Nello stesso periodo si è verificato un forte incremento delle richieste di aiuto e delle segnalazioni al numero di telefono nazionale anti-violenza e stalking 1522, numero promosso dal Dipartimento per le Pari Opportunità della Presidenza del Consiglio dei Ministri, a cui rispondono operatrici specializzate.
Questi dati dimostrano che isolamento e distanziamento sociale sono alcune delle condizioni tipiche che favoriscono la violenza di genere.
Il particolare momento storico, che costringe a rimanere in casa, può essere un ulteriore pericolo per le donne vittima di violenza, proprio perché nella stragrande maggioranza dei casi la violenza avviene in famiglia.
Un breve excursus storico: fino alla fine degli anni ’60 il marito poteva picchiare legalmente la moglie; l’adulterio femminile era considerato ben più grave di quello maschile e l’art. 587 del Codice Penale prevedeva la riduzione di un terzo della pena per chiunque uccidesse la moglie, la figlia o la sorella per difendere il suo onore o quello della famiglia; fino al 1971 era vietato vendere e pubblicizzare i contraccettivi; fino al 1978 l’aborto era illegale; solo nel 1981 è stato abrogato il “matrimonio riparatore” che prevedeva la cancellazione del reato di stupro se lo stupratore sposava la sua vittima e in caso di stupro di gruppo il matrimonio di uno degli stupratori estingueva il reato di tutti gli altri; e fino al 1996 lo stupro era considerato un reato contro la morale pubblica e il buon costume, e non un reato contro la persona.
Tutto questo dà la misura di quanto i comportamenti machisti siano radicati nella nostra società e quanto le modalità di predazione e sopruso siano percepite come la “normalità”, se non addirittura come un diritto di un uomo su una donna.
Ma in realtà non c’è proprio nulla di normale: il discrimine sta tutto nella parola NO, nel fastidio che la persona, molto spesso una donna, prova nel momento in cui subisce attenzioni, parole, gesti non voluti, quando una persona, molto spesso una donna, viene molestata.
Le molestie sono tutti quei comportamenti indesiderati che vengono percepiti da chi li subisce come lesivi della propria dignità, spesso procurati attraverso la creazione di un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante o offensivo.
Alcune forme di molestie sono più immediatamente riconoscibili, altre invece hanno un aspetto più subdolo: un contatto fisico indesiderato e sgradito da chi lo riceve, ad esempio un pizzicotto, un abbraccio o una carezza; una domanda sulla vita intima o sulle inclinazioni sessuali, gli apprezzamenti allusivi e i doppi sensi sgraditi, i commenti sull’abbigliamento o sul corpo; un fischio passeggiando per la strada, un gesto dal chiaro significato sessuale.
Inoltre, troppo spesso accade che le vittime di molestia non denuncino il fatto, per motivi che vanno dalla paura di ritorsioni da parte del molestatore, alla paura di non essere credute o creduti, a volte alla poca fiducia nella giustizia, finanche alla poca coscienza di quello che si è subito.
Quante volte succede che una vittima venga colpevolizzata dalla società, dai media o dai noi stessi quando subisce abusi? Proviamo a contare, ognuno per sé, quante volte ha pensato “ma se va in giro a quell’ora di notte e da sola, cosa si aspetta?”, “se si veste così, non può pretendere di essere presa sul serio!”, “se ha bevuto, se l’è cercata!”.
Proviamo invece a dirigere la nostra attenzione sul motivo per cui una persona (molte volte un uomo) si senta in diritto di agire violenza su un’altra (molte volte una donna), che sia verbale, economica, psicologica o fisica.
È da questi atteggiamenti che dobbiamo partire: da una nuova educazione che sradichi gli stereotipi di genere che ci sono stati sempre proposti come modello, e tramite l’educazione ci renda donne e uomini più consapevoli; da un lato uomini consapevoli che il loro essere uomini non si esprime con il dominio fisico, psicologico ed economico sulle donne, dall’altro donne consapevoli che ogni sopraffazione è un abuso e che la propria libertà sta anche nel rifiutare ogni attenzione non desiderata con una semplice parola: NO!
POESIA CONTRO LA VIOLENZA SULLE DONNE
Intervento di Caterina Frusteri Chiacchiera
Mi chiamo Caterina, nome che porto con orgoglio, e che ho ereditato da mia zia, detta Ina, dalla mia nonna e dalla mia bisnonna; una lunga genealogia di Caterine.
Caterina, da Ecate, che nella mitologia della greca antica era originariamente una divinità legata alla terra e all’autogenerazione, poi diventata dea delle scelte, degli inferi, della notte e della luna.
Ma anche Caterina dall’aggettivo greco katharos, puro. Insomma, un mix di onestà e mistero.
Non ho avuto un’educazione molto religiosa, ma sono siciliana e in Sicilia, tradizionalmente, si tiene molto a festeggiare gli onomastici; nella mia famiglia, tra tutte le Sante Caterine, da sempre, credo, festeggiamo il nostro onomastico il 25 novembre, giorno di Santa Caterina d’Alessandria.
Nonostante la mia distanza dai sistemi religiosi, la figura di questa santa mi ha sempre molto affascinato.
La leggenda, infatti, vuole che Caterina fosse una nobildonna, molto istruita, conosciuta per la propria saggezza.
Richiesta in moglie da diversi pretendenti, rifiutò di unirsi in matrimonio, decidendo di preservare la propria indipendenza (o, secondo l’interpretazione religiosa, il proprio rapporto esclusivo con Dio).
Di lei si infatuò anche un potente uomo pagano, che cercò di convertirla, inviandole i suoi più eruditi dottori; ma fu la saggia Caterina, grazie a un discorso pieno di convincimento, che riuscì a persuadere i messi del gran signore ad abbandonare la loro fede.
Contemporaneamente, riservò al ricco padrone un gran bel due picche.
L’orgoglio di maschio ferito anche allora conduceva ad azioni estreme, e infatti l’ “innamorato” (se così si può chiamare) respinto, si vendicò, tentando di uccidere Catarina attraverso il martirio della ruota; ma dato che per intercessione divina la ruota si ruppe, le fece tagliare la testa.
Caterina nei secoli, riscosse una forte devozione polare; ho ritrovato che in alcune realtà sociali è stata ritenuta protettrice, tra le altre cose, delle donne studiose e delle zitelle.
Zitelle… quanto ci sarebbe da scrivere, analizzando questo termine connotato in maniera così svilente e negativa.
Zitella: nell’uso comune, donna che non è riuscita a trovare un uomo e a sposarsi. Come se l’obiettivo di ogni donna, per essere socialmente accetta, fosse esclusivamente quello di essere legata a un uomo.
Questo secondo la mentalità dominante del patriarcato.
E se la parola zitella fosse invece rivalutata, proprio alla luce della leggenda di Caterina d’Alessandria? Una donna consapevole, che sceglie, anche a costo della propria vita, di non rinunciare a sé stessa e ai propri valori per un uomo.
Ripeto, anche se non sono religiosa, quanto sono fiera di portare il nome di questa leggendaria donna; e quanto mi intriga che sia stata una santa tanto venerata: forse perché il suo culto, inconsciamente, veicolava le istanze dell’autodeterminazione delle donne? Istanze che, magari, risultava difficile ammettere e accettare socialmente, ma che venivano espresse in maniera simbolica attraverso la venerazione di Caterina d’Alessandria, questa santa morta per femminicidio. Chissà…
Ma il 25 novembre è un giorno significativo anche perché commemora altre grandi donne che si sono battute per la libertà, a costo della loro stessa esistenza: le sorelle Mirabal, Patria Mercedes, María Argentina Minerva e Antonia María Teresa, dette Las Mariposas brutalmente assassinate il 25 novembre del 1960 in quanto oppositrici politiche alla dittatura che oppresse la Repubblica Dominicana per quasi 30 anni.
E proprio in loro onore, la data del 25 novembre è stata scelta dall’Assemblea Generale dell’ONU come giornata Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne.
Violenza fisica, psicologica, simbolica, culturale, economica; violenza sia sociale che privata…
Ecco che anche la poesia può dare un contributo, in questa giornata: ricordando il coraggio delle Mariposas, rievocando l’integrità di Caterina, ma anche la protezione di Ecate, che presiede su ogni nostra scelta.
Perché il coraggio delle donne, è sempre poesia, ed è quello che oggi ci porta a dire: BASTA VIOLENZA CONTRO LE DONNE. ORA E PER SEMPRE.