Nomen Omen: dall’Italia a una calorosa pulsante e incasinata e indignada Madrid
Di Mariasole Raimondi
Immagine della Puerta del Sol in maggio 2011
Per cominciare mi presento: mi chiamo Mariasole, nome poco conosciuto, versione italianizzata di Marisol, nome di cui mia madre si era innamorata viaggiando in Andalusia quando io navigavo ancora nella sua pancia. Tipico caso di Nomen Omen, pare che il nome indichi un destino, e nonostante nutra una certa ambivalenza nei confronti dei detti popolari (quanto mai utili ma pericolosi in quanto riproduttori di cliché), riconosco che in questo caso ci siano degli indizi di affinità. Sebbene la Spagna non sia stato la mia prima destinazione straniera (ho vissuto anteriormente a Parigi e Buenos Aires) è indubbio che ormai viva Madrid come una sorta di “casa” o diciamo una specie di ”rifugio stabile” nel mezzo dello sradicamento intrinseco, perseguito e subito al tempo stesso, nel momento in cui sono partita dall’Italia quasi venti anni fa.
Alla risposta di cosa mi occupo entro in una specie di paralisi mentale perché fondamentalmente non ho mai capito cosa volessi fare esattamente “da grande”. Ed è con tutti questi quesiti non risolti che ho cominicato a studiare antropologia a Bologna. E da li si sono succeduti infiniti lavori di fine master, ulteriori specializzazioni in politica, comunicazione digitale e quant’altro, nonché un susseguirsi di impieghi miracolosamente qualificati che spaziavano dall’insegnamento scolastico, alla ricerca sociale applicata, fino ad approdare all’analisi politica nella relazione bilaterale franco-argentina, per atterrare finalmente, dopo molte inquietudini e ricerche (chissá poi se definitivamente…) nel settore sociale. Ebbene sí, e giusto per riassumere un po’ nel mezzo della mia dispersione narrativa, vivo a Madrid da 12 anni, lavoro attualmente in una Ong che cerca di lottare contra la povertà e l’esclusione sociale attraverso delle procedure abbastanza complesse che meritano articolo a parte, faccio parte di associazioni di donne che hanno un potere catartico sulla mia visione dell’esistenza, sono in terapia da sempre e per sempre, pratico yoga Iyengar da decenni, mi muovo imperativamente in bici, non ho ancora imparato a cucinare, sono mamma di Nahuel da poco più di un anno e insieme a Thomas e i suoi figli Nora e Léo formiamo una grande famiglia italo-francese (non dimentichiamo Olivier il mio gatto sovrappeso!).
Dalla Spagna, e specialmente da Madrid, mi sono sempre sentita intuitivamente molto attirata, sebbene il mio primo amore abbagliante e sconvolgente sia stata l’Argentina (con la quale, dopo una relazione tormentata, abbiamo divorziato di comune accordo e manteniamo un’ottima relazione di amicizia). Fin dall’epoca parigina, Madrid rappresentava il rifugio cittadino caloroso, non troppo grande nè troppo piccolo, piacevolmente casereccio per molti aspetti, in cui ritrovare ristoro dalla freddezza climatica e interpersonale della Parigi dei miei anni di studio (sebbene fossi riuscita a crearmi uno spazio il più possibile bohemien, e ringrazio questa grande metropoli per avermelo regalato). Poi Madrid è diventato il mio scalo preferito nei lunghi viaggi da Buenos Aires all’Italia, una specie di intermediario simbólico tra il mondo latino (banalissima generalizzazione di realtà molto diverse tra loro, ma mi concedo questo salto alla regola per sintetizzare il concetto…) e il mondo europeo. Alla fine Madrid è diventata il mio unico destino europeo possibile, frutto di svariate riflessioni e pulsanti intuizoni rispetto a dove radicarmi nel mondo, quando sentivo che avevo bisogno di una base più solida e una maggiore vicinanza geografica alla mia famiglia.
EVA espacio autogestionado del quartiere di Arganzuela durante lo sciopero femminista del 2018
Ed eccomi sbarcare definitivamente a Madrid nel 2010, in un agosto-forno, con una valigia stile immigrata da fine diciannovesimo secolo in una casa condivisa con 5 persone, vicina a Piazza di Spagna e iscritta a un master di política internazionale latinamericana nella contestataria sede di scienze politiche della complutense per darmi la sensazione di avere almeno un punto stabile da cui partire per la mia nuova vita (oltre allá mia intuizione..). Felice, con questa sensazione di trovarmi nel posto giusto nel momento in cui tutti, invece, mi dicevano fosse sbagliato: nel bel mezzo di una crisi economica che aveva bruscamente risvegliato il paese dopo un decennio di utopica ripresa nazionale. Sono arrivata in una Madrid piena di sguardi stanchi rispetto alla situazione della città, con accenni di disapprovazione (non troverai mai lavoro qui…), ma anche di incontri ricchi di magia, forza ed energia… Perché l’energia di Madrid è pulsante, unica ed avvolgente, nonché cambiante. Non ho vissuto la Madrid della Movida nè della grande ripresa economica, sono arrivata in piena crisi ma una crisi vivace e combattiva, che è sfociata poco tempo dopo nel movimiento di protesta de los Indigandos che ha occupato la piazza principale di Madrid, nonché centro geografico di tutto il Paese (con la famosa placca del KM 0), la Puerta del Sol.
Sebbene ora il contesto generale sia notevolmente cambiato e l’attuale situazione politica locale sia motivo di vergogna nazionale a causa dell’indegna gestione della crisi del COVID-19, tale esperienza ha confermato la mia decisione di vivere in questa città. Per la sua capacità rivendicativa e comunitaria, per questi mondi sotterranei eppure accessibili, interconnessi da pensiero critico anarchico e femminista, per la speranza che una trasformazione sociale sia realmente possibile.