Maschile Plurale: uomini che la pensano diversamente
Di Alessandra (Sasha) Frascati
Intervista al Dott. Stefano Ciccone, fondatore dell’associazione “Maschile Plurale”
-Buongiorno Dott. Ciccone e grazie per aver accettato il nostro invito. È un gran piacere e un onore poter interfacciarci con una realtà come la vostra. Potrebbe raccontarci com’è nato il progetto di Maschile Plurale?
Buongiorno a voi e grazie dell’invito. Maschile Plurale nasce a Roma negli anni ’80, tra i banchi del liceo, sotto forma di gruppi formali: alcuni ragazzi hanno iniziato un lavoro di confronto tra uomini sul tema delle violenze e, più in generale, sulle questioni che pone il femminismo. La nascita del Maschile Plurale è stata favorita dai cortei dell’8 marzo, durante i quali le ragazze ci hanno fatto notare che la cosa più importante che potevamo fare non era prendere parte alle manifestazioni, e solidarizzare alle loro battaglie, ma intraprendere un percorso come uomini. Così, l’8 marzo del 1985, noi giovani ragazzi abbiamo fatto un’assemblea durante la quale sono stati toccati vari temi tra i quali la cultura patriarcale, il maschilismo, la misoginia, i modelli stereotipati di genere ecc., giungendo alla conclusione che erano una gabbia anche per noi uomini. Sulla scia di questi primi incontri, negli anni successivi, in tutta Italia, sono nati molti gruppi di uomini a testimonianza del fatto che è possibile un percorso maschile alternativo, di critica ad una cultura di dominio, che non solo opprime le donne, ma impoverisce anche la vita degli uomini.
-Potrebbe dirci due parole sull’organizzazione della vostra associazione? Come si svolgono i vostri incontri?
Siamo strutturati in gruppi che chiamiamo “di condivisione”, nel senso che non sono nati per avere un confronto di opinioni, ma per condividere la propria esperienza, le proprie emozioni e contraddizioni. Durante questi incontri si ha un ascolto reciproco ed una messa in gioco della propria intimità che difficilmente si hanno con le modalità di confronto tradizionali diffuse tra uomini, che spesso oscillano tra competizione e complicità. Nei gruppi proponiamo delle modalità di facilitazione e di superamento dei modelli tradizionali di confronto: una di queste prevede, ad esempio, di raccontarsi in base alle foto o agli effetti personali che ognuno porta con sé nel portafogli, un’altra, invece, è quella di fare dei lavori “di gioco”, chiedendo, ad esempio, a tutti i presenti di tenersi per mano ad occhi chiusi per poi scoprire quanto questo ci metta a disagio e lavorare, di conseguenza, su questo aspetto.
Ogni gruppo ha una frequenza diversa: alcuni si riuniscono ogni settimana, altri si vedono ogni due, ma lo scopo principale è quello di avere un confronto tra uomini che sia basato sull’intimità.
La modalità con la quale si svolgono gli incontri varia a seconda del gruppo: in alcuni c’è la cosiddetta “rotazione”, viene scelto, cioè, ogni volta un argomento diverso da trattare, altri gruppi, invece, scelgono un tema sul quale lavorare per un certo lasso di tempo. Il gruppo di Roma, ad esempio, negli ultimi 6 mesi ha scelto di occuparsi del tema della sessualità, trattando argomenti quali l’immaginario sessuale, le forme del desiderio ecc.
In molti gruppi ci sono sia uomini omosessuali che eterosessuali e in questi casi spesso il confronto è incentrato sugli aspetti comuni e non nel modo di vivere la sessualità e il corpo da parte di uomini con orientamenti sessuali diversi.
-Sono previsti anche confronti con donne?
La specificità della nostra associazione è quella di fare un lavoro tra uomini. In seguito, sulla base della consapevolezza acquisita e dell’elaborazione effettuata, si costruisce un confronto con le donne, costitutivamente previsto.
-In quali città d’Italia siete presenti? Quanti membri conta oggi la vostra associazione?
Attualmente siamo presenti in una ventina di città in tutta Italia: abbiamo gruppi attivi a Torino, Palermo, Bari, Livorno, Viareggio, Lucca, Parma, Verona… Non stiamo parlando di numeri elevati, si tratta di qualche centinaio di persone in giro per l’Italia che partecipano, in vario modo, all’esperienza di Maschile Plurale.
-Collaborate anche con altre realtà? Come promuovete la vostra associazione?
Sì, certo. In ogni città i nostri gruppi sono in contatto con i centri antiviolenza e con le associazioni di donne. Siamo anche dentro la rete nazionale “Educare alle Differenze” e collaboriamo con numerose università e riviste che si occupano di questi temi. Siamo in contatto, ad esempio, con la rivista femminista “Leggendaria”, che si occupa di cultura di genere soprattutto a partire dai libri, ma potrei citargliene molte altre.
Oltre a ciò, i nostri gruppi fanno anche un lavoro pubblico: organizziamo la presenza nelle scuole, progettiamo interventi finanziati dalle regioni o dai comuni sugli stereotipi di genere, programmiamo iniziative e seminari, lavoriamo con gli uomini violenti in carcere.
Ci sono, poi, le iniziative dei singoli gruppi per promuovere occasioni di discussione pubblici: durante il lockdown, il gruppo di Lucca ha organizzato, ad esempio, degli incontri via web su come donne e uomini vivevano in modo diverso la quarantena e ha toccato argomenti quali la cura della casa, della famiglia, delle relazioni tra uomini e donne ecc.
-Avete un blog o una pagina Facebook tramite la quale possiamo seguirvi?
Certo. Abbiamo un sito web www.maschileplurale.it e due pagine Facebook: “Maschile Plurale” e “Spazio aperto promosso da Maschile Plurale”. In questi spazi produciamo sia documenti collettivi, sia interventi e recensioni di libri e articoli individuali. Sul blog della nostra associazione è presente una sezione – “I quaderni del venerdì”, nella quale raccogliamo contributi personali e racconti di esperienze di vita.
-Un’ultima domanda: avete progetti che portate avanti insieme ad altre realtà?
Abbiamo creato, insieme ad altre associazioni, “Il giardino dei padri”, una rete nazionale di riflessione sul tema della paternità, su come noi uomini viviamo quest’esperienza: quali sono le difficoltà, quali le novità legate a questo ruolo. Oggi ci sono moltissimi uomini che vogliono vivere la paternità in modo diverso dal modello tradizionale dei padri procacciatori di cibo, assenti o distanti. Un numero sempre maggiore di uomini vuole avere una relazione intima di qualità con i figli e con le figlie, ma ciò non è banale perché richiede una messa in discussione dei ruoli in famiglia, del modo in cui gli uomini intendono il corpo, l’intimità, la tenerezza; tutte dimensioni che richiedono non solamente prendersi cura dei figli, ma anche reinventare il proprio modo di essere uomini, perché per essere un padre differente non basta passare più tempo coi figli: è necessario avere un linguaggio diverso. Questo tema è molto importante perché proprio la paternità è, oggigiorno, uno dei terreni di maggior crescita del maschilismo, della misoginia, del revanscismo maschile.
Noi pensiamo che anche l’esperienza dei padri separati sia, molto spesso, segnata da un atteggiamento misogino e revanscista, ma segna comunque una novità perché sono padri che mettono in piazza le loro sofferenze, il proprio desiderio di relazione con i figli, la propria vulnerabilità. Sono padri che ci tengono a stare con i propri figli, mentre questo non accadeva ai tempi di mio padre o mio nonno, quindi vi è indubbiamente una rottura col passato. Il problema sta nel fatto che questo cambiamento non trova un’espressione o un linguaggio nuovo e viene risucchiato da un atteggiamento frustrato e rivendicazionista, facendo sì che i padri riaffermino con forza il loro ruolo di guida per i figli, sottolineando, ancora una volta, i ruoli complementari: la madre è quella che si prende cura, il padre è quello che fissa le regole. Noi pensiamo che la rinuncia ai ruoli stereotipati comporti l’eliminazione della sofferenza sia per gli uomini che per le donne. Ovviamente, per l’uomo questo comporta rinunciare a un po’ di potere, a un po’ di carriera, ma conquistarsi, in cambio, un po’ più di spazio nel rapporto con i figli che spesso viene negato non tanto da una legge, quanto da una cultura diffusa.