Anna Karenina e l’amore come gioco maschilista a somma negativa
Di Elena Esposto
Quando ho deciso di aprire la serie di “Anna e le altre” con Anna Karenina non mi sono resa immediatamente conto di quanto sarebbe stato difficile racchiudere il romanzo di Tolstoj in cinquemila battute. Alla fine mi sono arresa all’impossibilità dell’impresa e ho deciso di focalizzarmi solo su uno degli aspetti dell’adulterio che emerge dal libro, ovvero il disequilibrio tra adulterio maschile e quello femminile, e la condanna della donna adultera fallimento sociale.
Com’è noto il romanzo si apre con l’adulterio del fratello di Anna, il principe Stepan Arkadic Oblonskij il quale, per l’ennesima volta, ha tradito la moglie con la governante francese. Stanca degli atteggiamenti libertini del marito Daria Aleksandrovna decide finalmente di passare alle maniere forti, tappandosi in camera dichiarando di non poter più vivere nella stessa casa con lui. Tolstoij non cerca in nessun modo di mascherare la sua simpatia per il principe Oblonskij. Essa trapela da ogni riga, dall’atteggiamento degli altri personaggi (in primis del maggiordomo), finché perfino il lettore si trova inevitabilmente a prendere le sue parti, perfino quando Tolstoj ci dice chiaramente che in lui non vi è pentimento.
“Era pentito solo di non averlo saputo nascondere più abilmente alla moglie”.
Del resto le motivazioni dell’adulterio di Stepan Arkadic non sono poi così incomprensibili. Uomo di mondo, vede la bellezza della moglie sfiorire sotto il peso di incessanti gravidanze e decide quindi di cercare un po’ di conforto e sollazzo fuori dal nido familiare. Tolstoij sembra invitarci alla comprensione, come per dire: chi non avrebbe fatto lo stesso?
Perfino la stessa Anna, chiamata con urgenza da San Pietroburgo per tentare di rappacificare fratello e cognata, implora Daria Aleksandrovna di perdonare il marito perché:
Questi uomini commettono infedeltà, ma il loro focolare domestico e la moglie, queste, per loro, sono cose sacre. Per loro, in un certo modo, quelle donne restano spregevoli, e non le confondono con la famiglia. Essi tracciano come una linea insormontabile tra la famiglia e quelle donne.
Anna, per la quale non ci saranno da parte di nessuno parole di comprensione o perdono, quella linea insormontabile non potrà mai tracciarla perché per la moglie adultera non ci sono mezze misure, non ci sono zone grigie o di confine. C’è solo la possibilità di un’adesione totale al ruolo di moglie, davanti al quale tutto il resto (passioni, istinti, volontà) scompare.
Lei stessa non tratta la propria relazione adulterina con Vronskij come sostiene che il fratello consideri le sue. In un lampo di incredibile lucidità Tolstoj scrive:
Un unico identico sogno la visitava quasi ogni notte. Sognava che tutti e due erano nello stesso tempo suoi mariti, che tutti e due le prodigavano le loro carezze. Aleksej Aleksandrovic piangeva, baciandole le mani, e diceva ‘Come si sta bene, ora!’. E Aleksej Vronskij era là, e anche lui era suo marito. Ed ella stupiva come questo le fosse apparso prima impossibile, e spiegava loro, ridendo, che era molto più semplice, e che ora entrambi erano felici e contenti. Ma questo sogno la soffocava come un incubo.
Anna, diversamente da altre mogli adultere della letteratura, non disprezza il marito. Per lei l’amore per Vronskji non implica il venir meno dell’affetto e della stima per Karenin. Saranno le costrizioni sociali che trasformeranno Karenin in un ostacolo agli occhi di Anna. Solo a quel punto lei inizierà a provare risentimento verso il marito, pur continuando a stimarlo, come prova il fatto che in preda al delirio causato dalla febbre puerperale, dopo aver partorito la figlia di Vronskij, ne implori il perdono.
Anche Karenin come Anna, sembra per un momento riconoscere la forzatura di un’istituzione matrimoniale costretta ad essere eterna e, al capezzale di Anna, arriva perfino a perdonare e consolare Vronskij, affezionandosi alla bambina fino al punto da occuparsene più della stessa Anna. La lucidità del pensiero originale di Karenin è però destinato ad avere vita breve. Anche per lui subentrano le costrizioni sociali, la moralità, le opinioni dei benpensanti.
Ma quanto più tempo passava, tanto più chiaramente egli scorgeva che, per quanto ora questa posizione gli paresse naturale, non gli avrebbero consentito di permanervi. […] Sentiva che tutti guardavano a lui con interrogativo stupore, che non lo capivano e che si aspettavano qualcosa da lui.
Sotto l’influsso nefasto della contessa Lidija Ivanovna, Karenin non solo abbandona l’idea del perdono, ma intraprende anche una serie di azioni per ostacolare la felicità di Anna, una per tutte impedendole di vedere il figlio.
Le tensioni di una vita ai margini della società porteranno Anna a compiere il gesto finale del suicidio. E mentre, da lettori, contempliamo con la folla attonita il cadavere della donna gettatasi sotto il treno, non possiamo fare a meno di chiederci se avrebbe potuto andare diversamente.
Se quella società tanto disposta a scusare e perdonare Oblonskji fosse stata altrettanto clemente con sua sorella il gioco dell’amore e dell’adulterio forse non sarebbe più stato un gioco a somma negativa. Ma l’inclemenza e l’ottusità nei confronti della moglie adultera, la chiusura di una società che valuta con due pesi e due misure ciò che fanno gli uomini e ciò che fanno le donne ha portato tutti a perdere qualcosa.
Anna ha perso la vita, Karenin ha perso la moglie e la bontà, Vronsij l’amore e Serëza e Anna la madre. Lungi dal salvare le istituzioni di famiglia e matrimonio, l’annullamento della moglie adultera porta inevitabilmente alla disgregazione dei quella società che tenta così disperatamente di conservare.