Il mondo incantato
Di Alessandra (Sasha) Frascati
“C’è un significato più profondo nelle fiabe che mi furono narrate nella mia infanzia che nella verità qual è insegnata dalla vita.” Schiller, I Piccolomini, III, 4.
In una calda e afosa serata di un paio di anni fa me ne stavo seduta a sorseggiare un cocktail ad uno dei tanti tavolini che popolano le strade di Milano: un’amica sarebbe stata trasferita per lavoro in un’altra città di lì a poco e quella era la serata organizzata per salutarla.
Mentre stavamo parlando del più e del meno, la mia attenzione fu catturata da due parole buttate là per caso: “fiabe” e “lettura”.
Fu così che venni a conoscenza di una bellissima attività di volontariato che si svolge presso l’ospedale “Buzzi” di Milano: la lettura di fiabe ai bambini la sera, poco prima che si addormentino, per dare un po’ di sollievo ai piccoli pazienti e accompagnarli dolcemente nel mondo dei sogni.
Svolgo questa attività da poco più di un anno e benchè provi ogni volta una gran gioia nel vedere il visino estasiato di un bambino che mi ascolta rapito, non nascondo che, ogni tanto, sono proprio i genitori a mostrare un malcelato velo di insofferenza nei confronti di noi volontari: nell’era della tecnologia sono in molti a preferire che i figli giochino con ipad e tablet, mentre le fiabe vengono percepite, da alcuni, come potenzialmente nocive in quanto presentano un mondo immaginario ben lontano dalla realtà.
Vorrei parlarvi, a tal proposito, di un meraviglioso libro che ho letto di recente: “Il mondo incantato” dello psicologo infantile Bruno Bettelheim, nel quale l’autore difende a spada tratta il diritto e la necessità per il bambino di poter accedere ad un mondo fantastico – quello della fiaba – che non solo non è dannoso, ma è di grande importanza per la sua crescita a livello psicologico.
Bettelheim sottolinea come l’individuo senta, nel profondo, la necessità di dare un senso alla propria vita ed è spinto a cercarlo fin dalla più tenera età.
Solo nel momento in cui crediamo di aver compreso e acquisito tale significato possiamo dire di aver raggiunto la maturità psicologica. Uno dei compiti fondamentali del genitore è, pertanto, quello di aiutare il figlioletto a trovare questo significato.
Per far ciò il bambino deve essere capace di trascendere i confini di un’esistenza egocentrica e credere di poter dare un contributo importante alla vita, sensazione necessaria perché una persona possa essere soddisfatta di sé e di quanto sta facendo.
Nessuno strumento come la fiaba popolare assolve meglio a questo arduo compito in quanto riesce a trasmettere un significato al vivere del bambino arricchendone la vita, stimolandone l’immaginazione e suggerendo soluzioni ai problemi che lo turbano senza mai sminuire la gravità delle difficoltà che lo affliggono.
Certo, ad un livello manifesto, le fiabe hanno poco da insegnare per quanto riguarda le specifiche condizioni di vita nella società di massa contemporanea, ma ciò che possono rivelare appartiene al mondo dei nostri problemi interiori, proponendo delle giuste soluzioni alle difficoltà di un bambino in qualsiasi società.
Dato che la vita è spesso sconcertante per lui, il bambino ha ancor più la necessità di comprendere se stesso e per esserne capace deve essere aiutato a trarre un senso dal tumulto dei suoi sentimenti. Ha bisogno di idee sul modo in cui dare ordine al suo mondo interiore, di un’educazione morale che viene fornita in maniera ottimale proprio dalle fiabe popolari, portatrici di importanti messaggi alla mente conscia, preconscia e subconscia del bambino per mezzo di immagini e significati vicini alla sua mente.
Un bambino piccolo si sente spesso stupido e inadeguato quando si trova di fronte alla complessità del mondo che lo circonda: chiunque sembra saperla più lunga ed essere più capace di lui. Proprio per questo molte fiabe iniziano con l’eroe che viene disprezzato e considerato stupido, dal momento che questi sono i sentimenti del bambino nei confronti di se stesso.
Prendiamo, a titolo esemplificativo, la fiaba “Le tre piume” dei fratelli Grimm. In essa viene narrata la storia di tre fratelli – due svegli e intelligenti, il terzo ingenuo e sempliciotto. Per decidere chi dei tre dovrà ereditare il regno alla morte del padre, il re decide di far superare ai figli tre prove. Vengono lanciate in aria tre piume, ognuna della quali indica a ciascuno dei figli la direzione che dovrà prendere per superarle.
Le piume dei fratelli volano una a est e l’altra ad ovest, mentre quella dell’ingenuo si posa a terra. Sempliciotto dapprima è rattristato, poi nota una botola proprio dove si è posata la sua piuma. La solleva e trova una scala che lo condurrà nelle viscere della terra dove raggiunge il regno dei rospi, il cui re lo aiuterà a superare tutte e tre le prove, dalle quali uscirà vincitore.
L’addentrarsi nelle tenebre della terra rappresenta una discesa agli inferi: Sempliciotto intraprende un viaggio nell’interiorità, nell’inconscio, mentre i suoi fratelli vagano alla superficie trovando solo cose grossolane, nonostante la loro presunta intelligenza.
Come Sempliciotto, l’inconscio viene considerato l’aspetto meno elevato della nostra mente, ma quando viene usato bene è la parte della nostra personalità da cui traiamo la massima forza: ci permette di familiarizzare con le forze oscure all’interno di noi e intraprendere azioni per elevarci e superare i nostri turbamenti. Il fatto che Sempliciotto venga aiutato da un rospo suggerisce che ciò che gli permette di avere la meglio sugli altri fratelli è proprio il suo affidarsi alla natura animale, alle semplici e primitive forze all’interno di noi.
Questa fiaba indica chiaramente che colui che è stato considerato dagli altri e da se stesso come meno capace sopravanzerà, malgrado ciò, tutti quanti. Solo quando il bambino giungerà a identificarsi con l’eroe stupido della fiaba, sapendo che alla fine egli dimostrerà la sua superiorità, anche lui potrà avviare il processo di realizzazione delle sue potenzialità mediante il superamento dei conflitti interiori che lo attanagliano.