Marianne e Leonard, storia di amore e di arte
Di Elena Esposto
Ho conosciuto Leonard Cohen l’anno dei miei diciotto. La sua voce titubante, ma allo stesso tempo potente, usciva dall’autoradio di una vecchia Panda, di ritorno da una festa. Niente di quella serata ha lasciato il segno, tranne quell’unico brano: “So Long Marianne”. Dopo quel giorno ho comprato tutti i suoi album e non ho mai smesso di ascoltarlo.
È molto difficile accostarsi a Leonard Cohen senza rimanere affascinati dalla sua figura poliedrica, piena di sfaccettature e sfumature.
Il cantautore che ha incantato generazioni è solo la punta dell’iceberg. Artista a tutto tondo Cohen è stato poeta e romanziere, studioso della spiritualità ebraica e monaco buddista. Da molti è stato definito il “poeta della depressione” ma, nonostante in molti dei suoi testi si sfiori il bordo dell’abisso, ovunque emerge il suo profondo amore per la bellezza, anche se nascosta negli angoli più bui della vita.
In questa sua ricerca del bello e del perfetto rimasero coinvolte anche molte donne, che Cohen venerava e considerava esseri superiori , quasi divini. Come disse una volta:
“Ogni donna che incontro mi fa uscire di testa, mi stende e io non posso che cadere in ginocchio. Non mi considero neppure uno scrittore, un cantante o altro. L’occupazione di essere uomo rappresenta molto di più. […] Vorrei che le donne si affrettassero a prendere il potere. Visto che deve succedere, meglio che sia presto… Riconosceremo finalmente allora che le donne sono le menti e l’energia che tiene tutto insieme, mentre gli uomini fanno i pettegoli o gli artisti. […] Sono assolutamente a favore del matriarcato.”
Come testimonia Nancy Bacal: “Leonard era unico e sorprendente. Amava veramente le donne, per quanto amore non sia la parola giusta Sentiva che le donne avevano una forza e una bellezza delle quali non sempre si rendevano conto. Stare con Leonard significava cominciare a rendersi conto della propria forza come donna.”
Le donne ebbero un ruolo fondamentale sul lavoro e la carriera di Cohen. Lui stesso ammise che iniziò a scrivere poesie per fare colpo sulle ragazze. Molte furono quelle che lo accompagnarono nel suo lungo cammino ma due sono quelle che hanno lasciato un segno indelebile. Suzanne Elrod, la madre dei suoi due figli la quale, contrariamente a quello che si crede, non diede il titolo all’omonima e famosissima canzone, e Marianne Ihlen, musa indiscussa la quale invece ispirò, tra le altre, la ballata che porta il suo nome.
Leonard e Marianne si conobbero a Idra nel 1960 quando lei viveva già da tre anni sull’isola greca; era arrivata nel 1957 insieme all’allora fidanzato, e poi marito, lo scrittore Axel Jensen.
Quando Cohen la conobbe la coppia aveva già un figlio, Axel Joachim. Vedendoli scendere al porto insieme , giovani, belli, biondi e abbronzati, Leonard racconta di essere rimasto folgorato e di aver pensato che dovevano essere molto felici.
Le cose però stavano ben diversamente. Idra faceva bene all’arte ma male all’amore: Jensen abbandonò ben presto Marianne e il bambino per una pittrice americana e Leonard, con la gentilezza e la discrezione che gli erano proprie, iniziò a prendersi cura dei due. Lui e Marianne divennero amici e poi amanti, andando a vivere insieme nella casa di lui.
La cosa che colpisce approfondendo la storia di Marianne è la sua assoluta normalità. Nata da una famiglia borghese di Oslo la sua giovinezza venne fortemente influenzata dalle aspettative della “buona società”. Fu anche per sfuggire a questi condizionamenti e sentirsi finalmente libera di essere se stessa che acconsentì a seguire Jensen a Idra.
Nella comunità di artisti dell’isola Marianne appare un po’ come una mosca bianca. Nella lunga intervista con la giornalista Kari Hesthamar racconta che, ogniqualvolta un nuovo arrivato si presentava parlando della sua arte, “sono un poeta, uno scrittore, un pittore…”, Marianne rispondeva “Sto vivendo. La vita è la mia arte”.
Questa risposta apparentemente brillante nascondeva però paure e incertezze e, soprattutto, la necessità di definirsi e trovare un posto nel mondo.
Marianne condivideva con Leonard queste domande. I due passavano lunghi momenti insieme davanti ad uno specchio cercando di capire davvero chi fossero.
Durante il periodo che Leonard visse a Idra con Marianne la sua produzione artistica ebbe un’ impennata. Scrisse l’ultima versione del romanzo The Favorite Game, pubblicato nel 1963, iniziò (e terminò) il suo secondo romanzo, Beautiful losers, pubblicato nel 1966 e incise il primo album, Songs of Leonard Cohen, del 1967.
Come lui stesso ebbe a dire, Marianne metteva ordine alla sua vita creativa e domestica. Si prendeva cura di lui e della casa, gli infondeva sicurezza e stabilità. Ogni mattina gli lasciava una gardenia sul tavolo da lavoro, e con il suo silenzio e la sua discrezione fu una compagna ideale per gli anni intensi della creatività.
Dopo il 1968 le loro strade si divisero ma per un periodo Leonard continuò comunque ad occuparsi di lei e del bambino. Dopo qualche tempo Marianne tornò in Norvegia, sposò un altro uomo e andò a lavorare nel settore petrolifero.
Non dimenticò mai Leonard che continuò ad apparirle vividamente nei sogni per tutti gli anni a venire. Poco prima di morire ricevette da lui un’ultima lettera.
Carissima Marianne,
sono appena dietro di te, abbastanza vicino da prenderti la mano. Questo vecchio corpo non ce la fa più, proprio come il tuo, e l’ingiunzione di sfratto arriverà da un momento all’altro.
Non ho mai dimenticato il tuo amore e la tua bellezza. Ma lo sai, e non ho bisogno di aggiungere altro. Buon viaggio amica mia, ci vediamo lungo la strada. Amore e gratitudine. Leonard
Cohen è morto pochi mesi dopo di lei, il 7 novembre del 2016.
È facile pensare che tutta la storia di Marianne brilli di luce riflessa, e che nessuno saprebbe chi è se non fosse stata la musa di Leonard Cohen. Ma forse dovremmo cambiare prospettiva e chiederci se Leonard Cohen sarebbe diventato quello che è stato se non avesse mai incontrato Marianne Ihlen.