Dostoevskij, mio marito: qualche parola su Anna Dostoevskaja
Di Erica Caimi
Vi è mai capitato di pensare alle mogli dei grandi scrittori? Vi siete mai domandate, cosa significhi vivere accanto a un genio, condividere le sue debolezze, assistere ai tormenti interiori amplificati dalla celebrità (o dalla sventura, o da entrambe, a seconda dei casi) e accompagnare le ambizioni artistiche giorno dopo giorno? Devo essere onesta, raramente mi sono posta certi interrogativi, finché un giorno non mi capita tra le mani il libro Dostoevskij, mio marito, edito Bompiani di Anna Dostoevskaja, seconda moglie del grande scrittore. Immergersi nei ricordi di Anna, che rappresentano una fonte preziosissima per quanto riguarda le abitudini private della coppia, ha capovolto le mie prospettive. È il 1866. Dostoevskij si sta costruendo una carriera letteraria, ma lotta per portare a termine Il Giocatore e non annegare nei debiti. Stellovskij, il suo editore, gli fa firmare un contratto nel quale lo obbliga a consegnare un nuovo romanzo entro l’anno, è già ottobre, del manoscritto neanche l’ombra. Un amico gli consiglia di assumere una stenografa: Anna Grigor’evna. Lei ha 20 anni, lui 45. Ecco un breve resoconto del loro primo incontro:
Dostoevskij mi parve un uomo strano. A prima vista mi sembrò piuttosto vecchio, ma appena cominciò a parlare non mostrò più di trentasette anni. Statura media molto diritto. Il viso era stanco e malaticcio i capelli di un castano rossiccio erano lisciati e impomatati. Gli occhi erano completamente diversi; uno era comune di color castano, ma l’altro aveva la pupilla dilatata tanto da non lasciar più vedere l’iride. Quest’asimmetria nello sguardo dava al suo viso un’espressione enigmatica. Mi pareva di conoscerlo già, forse perché avevo visto i suoi ritratti. Indossava una giacca leggera di panno blu piuttosto sciupato ma la camicia era di una bianchezza di neve.
Anna è abilissima, scrive, corregge, traduce. Lui è un uomo d’indole nervosa, consumato dagli attacchi epilettici e tartassato dai debiti di gioco. S’innamorano e dopo un anno da quel primo incontro sono già sposati. Pagina dopo pagina emerge tutta la complessità di una vita vissuta accanto a un uomo tanto geniale quanto difficile, ma lei è coraggiosa, e oltre al ruolo di moglie e amministratrice delle finanze famigliari, assume anche quello di editrice, libraia, curatrice degli interessi del marito e memorialista. Con la sua dedizione riesce a liberarlo dalla dipendenza del gioco. Nel 1873 decide di auto pubblicare le opere del marito, prassi alquanto insolita per quei tempi dato che nessuno scrittore russo era mai stato nel contempo editore di sé stesso. In quell’anno, L’idiota e I demoni escono in un unico volume. M’intenerisce il modo in cui Anna racconta la sua quotidianità: senza mettere mai in cattiva luce il marito, ma neppure celare i lati oscuri della loro relazione, i rimproveri, le litigate, la malattia, il gioco. Stupefacente è la dedizione e l’annullamento di sé senza rimorsi né recriminazioni. Il che potrebbe anche far discutere, ma è una caratteristica che pare essere comune nelle biografie di consorti di personaggi così “impegnativi”. Al di là di queste considerazioni, credo non sia giusto interpretare le sue scelte utilizzando questo metro di giudizio. Il libro mi è sembrato un contributo nato dalla volontà di aprire le porte di casa Dostoevskij ai lettori di ogni tempo permettendo loro di sfogliare le pagine di un diario di famiglia.